Un ponte mai nato sul Lago Maggiore. Da Laveno a Intra, il progetto che attraversò il Novecento e finì nel nulla

Tra idee visionarie, guerre e opposizioni locali, riaffiora una storia dimenticata.
La Biblioteca di Gemonio ricostruisce un capitolo poco noto del territorio.

Immaginare un ponte sul Lago Maggiore, capace di collegare Laveno Mombello con la frazione di Intra, in Piemonte, oggi può sembrare un esercizio di fantasia. Eppure quell’idea animò a lungo il dibattito pubblico, prima negli anni Trenta e poi nel secondo dopoguerra. A riportarla alla luce è la Biblioteca di Gemonio, il paese dove risiede Umberto Bossi, che attraverso un post sui social ha ricostruito le tappe di una vicenda quasi dimenticata.

Il primo progetto risale al biennio 1931-1932, quando l’ingegner Alfredo Varni, tecnico di origini pavesi, propose la realizzazione di un ponte tra le due sponde del lago. L’idea era ardita per l’epoca: un asse stradale poggiato su grandi barconi in cemento armato, larghi una dozzina di metri, incastrati uno all’altro e affiancati da due marciapiedi.

Secondo i piani, i cassoni galleggianti sarebbero stati costruiti a Laveno, in un cantiere vicino all’attuale località del Gaggetto. Da lì il ponte avrebbe preso forma fino a raggiungere San Bernardino, a Verbania. Gli investitori confidavano nei proventi dei pedaggi, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale mise fine a ogni prospettiva: il progetto fu accantonato e dimenticato.

L’idea riemerse nel dopoguerra, tra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Nel 1954 il governo espresse parere favorevole e il sindaco di Verbania dell’epoca, Ugo Sironi, accolse la notizia con entusiasmo. Tuttavia, anche in questa fase, il progetto non riuscì a concretizzarsi.

Le reazioni sul territorio furono contrastanti. A Luino si levarono forti opposizioni, mentre a Laveno Mombello il sindaco Gennaro Airoli ribadì il proprio sostegno: «Ripetiamo la nostra incondizionata adesione all’iniziativa, convinti che il ponte porterà maggiori traffici e scambi, sia turistici che commerciali, con conseguenti vantaggi per entrambe le province».

Nel frattempo venne costituita una società incaricata di ottenere i consensi necessari e furono ipotizzate tre diverse soluzioni tecniche. La prima prevedeva un ponte galleggiante stabilizzato da strutture subacquee fisse, collegato alle rive tramite ponti metallici di cento metri, apribili per consentire il passaggio dei battelli.

La seconda soluzione immaginava un ponte appoggiato su cassoni immersi, simile a un viadotto, che avrebbe garantito la navigazione ma comportava la presenza di piloni ritenuti pericolosi, soprattutto in caso di nebbia. La terza ipotesi, la più ambiziosa, era quella di un tunnel subacqueo: un ponte tubolare posizionato a 14 metri sotto il livello dell’acqua, invisibile e compatibile con il traffico lacustre, ma complesso e costoso, dotato di impianti di ventilazione e sistemi di sicurezza.

Come molte grandi idee dell’epoca, anche questa finì nel dimenticatoio. Oggi, però, quella storia può essere riscoperta: la ricostruzione completa del dibattito fu pubblicata nel 2020 sulla rivista “Verbanun” ed è consultabile proprio presso la Biblioteca di Gemonio, custode di un capitolo affascinante e incompiuto della storia del Lago Maggiore.