Cartella, grembiule e fiocco I ricordi dei remigini “big”

Anche i “big” nostrani sono stati remigini: e alcuni di loro hanno iniziato la scuola il primo ottobre, come si usava fino ai primi anni Settanta.

, direttrice de “La Cucina Italiana”, nel 1985 varcava la soglia della “Beata Giuliana Puricelli” di Busto.

«Mi ricordo il primo giorno di scuola per l’attesa: la cartella rossa col cavallino, il grembiulino, l’astuccio comperati da una mamma premurosa che mi spiegava quanto fosse importante quel momento. Sono sempre stata una bambina giudiziosa e per me tutto questo significava diventare grande. E ho presente anche il primo giorno di ginnasio al “Crespi” come fosse adesso: novanta ragazzi nell’atrio che si scrutavano in cerca di un volto amico. Non conoscevo nessuno, mi guardavo intorno spaurita. Si cominciava a far sul serio; quel settembre segnava probabilmente l’inizio della mia strada professionale, e ne sentivo tutto il peso».

Il libro dei ricordi Anna Prandoni prosegue: «Di quel primo giorno di scuola mi rimase impresso soprattutto il divario sociale, che eravamo lì per colmare, tra chi era figlio di ex allievi e chi no. Forse la mia è stata l’ultima generazione a dover lottare per poter avere pari diritti e pari dignità negli studi. Oggi l’essere figli di medici o di operai non è più un vincolo determinante per che cosa potrai fare da grande. Parte del merito è da attribuire al web, e alle opportunità aperte dalla crisi, che ha rimesso tutti allo stesso livello».

Anche il regista e pedagogo teatrale ha un ricordo intenso del suo primo giorno di scuola.

«Era il 1975», ricorda Franzato, «alla scuola elementare “IV Novembre” di San Fermo. Fu un vero e proprio trauma da ingresso nel mondo. Non avendo frequentato asili e scuole materne, fino ad allora ero stato “un’ombra proiettata” di mia madre, quindi per il bambino timidissimo che ero tutto quel caos di quel giorno lo percepivo così confusionale e causa sofferente per il distacco. Ancora più assurdo a ricordarlo, perché io abitavo proprio confinante con la scuola, per cui sceso dal letto ero praticamente in aula. Eppure riuscivo spesso ad arrivare in ritardo… (da quest’ultima patologia non sono ancora del tutto guarito, considerato che ancor oggi, da professore, riesco ad arrivare a scuola a campanella già suonata).

, insegnante e paladina dei più deboli a Palazzo Estense, ha frequentato invece le elementari a Valle Olona alla “De Amicis”.

«Un episodio è passato alla storia della mia famiglia: da figlia unica, mia madre mi aveva mandato a scuola con un superfiocco rosa. Una mia compagna di cui poi sono stata nella vita grande amica, ora lontana da Varese, aveva un nastrino striminzito, che rivelava le condizioni decisamente meno agiate e faceva molta strada per venire a scuola a piedi. Beh, io ho sentito, pur non conoscendola, che sarebbe stata “la mia amica”, ho tolto il mio fioccone e l’ho scambiato col suo,

come ho fatto poi spesso con la merenda. Al ritorno le ho sentite da mia madre perché avevo perso il fiocco e per la mai sbadataggine. Solo quando ha saputo da mia nonna il vero motivo, ha intuito che forse sarebbe stato il mio stile di vita. Difatti i miei genitori hanno sempre condiviso il mio stile e da allora sostenuto ogni forma di attenzione a chi era maggiormente in difficoltà».

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