«Così nacque il Dolce Varese» Angela racconta Zamberletti

Angela Zamberletti, bionda e battagliera, da sempre lega il suo nome alla pasticceria di corso Matteotti e al Dolce Varese, nato alla fine degli anni Trenta dalla sapienza artigiana di suo padre Antonio, conosciuto da tutti come Carlo. Fatto di mandorle, nocciole, uova, tre farine – fecola, fioretto di mais e frumento – e ancora zucchero e un qualche aroma liquoroso segreto che ha il sapore della nostra città, è incartato nell’involucro che l’amico Gianfranco Ravasi pensò per lui, in una magnifica Carta Varese. Imitatissimo, è il nostro dolce più venduto da sempre, icona gastronomica sopraffina.

«Mio padre, all’epoca uno dei maestri pasticceri più in voga di Varese – racconta – studiando i dolci tipici lombardi era incuriosito dal fatto che non ne esistesse uno rappresentativo della nostra città. Decise perciò di crearlo a tavolino, attingendo ai sapori genuini del Varesotto e pensando a una consistenza casalinga e semplice. Anche lo stampo scanalato fu una sua intuizione: forma e sapori sono rimasti identici nel tempo».

Come quei filologi che ricostruiscono l’archetipo perduto, anche Carlo con tocco d’artista aveva riplasmato un dolce sicuramente sepolto nella memoria, le cui tracce si intuivano nei racconti aviti.

Gli Zamberletti sono una famiglia varesina da generazioni, originaria del Pian della Croce. Carlo rileva nel ’39, l’anno del matrimonio con Lucia, la pasticceria di via Como dal prozio Luigi, presso cui era stato apprendista alcuni anni: Luigi si era formato a Milano da Cova e a Torino da Bertola. Inizia così una storia aziendale di successo, che non conoscerà freni nemmeno nel periodo della guerra, nonostante i razionamenti e il coprifuoco. «Si lavorava a singhiozzo, ma l’attività non chiuse. Mio padre si era circondato di validi aiutanti e la mamma lo aiutava come commessa», ricorda Angela.

La via Como di allora era molto diversa da quella odierna. «Era un piccolo quartiere di artigiani, fra cui la prima fabbrica della Malerba. Il nostro laboratorio, a tutt’oggi l’unico, guardava nel cortile dell’interno: accanto, dalla parte della strada, c’era una cartoleria. L’edificio originario aveva un piano solo: anni dopo fu costruito il palazzo con i finestroni blu».

Alla fine degli anni Quaranta appare la prima insegna “Pasticceria Zamberletti” in via Manzoni al 4: la conducono Carlo e Lucia per diversi anni, prima di passarla al figlio Giorgio. «La mia scelta di proseguire l’attività di famiglia – spiega Angela – è stata del tutto naturale». E all’apertura, il 13 dicembre 1954, del nuovo negozio del corso, è già in prima linea a dirigere la pasticceria. Era il giorno di Santa Lucia e Carlo aveva voluto festeggiare sua moglie.

«Ricordo la sorpresa dei varesini nel vedere il locale ultramoderno: per parecchi giorni fu così affollato da non riuscire a stare al passo con le richieste, nonostante il folto personale».

Ereditava l’importante metratura dallo storico caffè liberty, Cavour, i cui pavimenti mosaicati del 1928 non sono mai stati cambiati.

Fra gli arredi spiccano gli affreschi a pannelli che percorrono tutto l’interno come una fascia preziosa: risalgono alla ristrutturazione del ’53. «L’architetto ci propose di valutare un progetto di un pittore neofuturista, Andreoni. L’idea ci piacque molto e gli commissionammo una serie di pannelli, che dipinse nel suo laboratorio: li affiggemmo una volta terminati».

Partono dal banco bar, rappresentando un rinfresco d’epoca con la pasticceria mignon che prendeva piede in quegli anni, e continuano sulla parete vicina con i sette laghi, le maggiori città e la rosa dei venti; sul banco pasticceria è dipinto il laboratorio in fieri, dall’impasto al forno. «Nei suoi dipinti Andreoni inseriva sempre qualcosa in volo, come la voliera nel rinfresco e la mongolfiera nel pannello del laboratorio».

Zamberletti, il primo caffè varesino frequentato dalle donne, quello che le omaggia con un tripudio di cuori dolci dalla Giöbia a San Valentino, ha fatto storia con le sue formidabili paste rimaste identiche nel tempo, così come le meraviglie salate in voga già dal dopoguerra. Per Angela questo negozio è come un figlio: da quando è mancato il papà, negli anni Settanta, è lei completamente al timone, mentre Giorgio e la sua discendenza regnano nel laboratorio di via Como.

E il famoso servizio di catering, attivo già dalla metà degli anni Cinquanta, che ha curato gli allestimenti dei più bei ricevimenti varesini, porta sempre la sua firma.

«Iniziammo con i piccoli matrimoni nel locale sopra il negozio. Il primo rinfresco fuori sede fu curato da mio padre con il commendator Raffo all’Ente del Turismo, per inaugurare gli affreschi ad Arcumeggia. Poi vennero le feste per i milanesi, nelle bellissime ville di vacanza, e per i prefetti della Repubblica. Il ricevimento più impegnativo fu quello per il professor Barnard, il chirurgo che eseguì il primo trapianto cardiaco».

Il cuore è il suo leitmotiv: persino Liala, per i suoi tè con le amiche, ordinava le paste da lei. E la cultura ha sempre rivestito un posto di spicco: le serate culturali nascono nel ‘67 con gli amici di Renata Tebaldi – che una volta intervenne di persona – e proseguono con il caffè letterario di Guido Buono, divenuto Caffè della cultura con il musicologo Bruno Belli e con i Salotti di Mauro Della Porta Raffo. «Ho visto passare musicisti, scrittori, atleti: per anni, con Bulgheroni, il mio locale è stato il punto di ritrovo della Pallacanestro Varese».

Angela è un’istituzione varesina; il suo cuore si lega anche a opere di beneficenza, con le Soroptimist. Lo stesso filo dorato che chiude con garbo il Dolce Varese.

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