“Dita di polvere”: La storia sbagliata di Emanuele Riboli

«Se fosse una storia semplice il libro sarebbe uscito da tempo», esordisce così , autore dell’inedito “Dita di polvere”, che ricostruisce quella manciata di anni bui che hanno spezzato in due la storia del varesotto.

Il testo prende le mosse dall’arrivo di una famiglia ‘ndranghetista nei primi anni ’70 a Buguggiate, un paese come tanti che vive le contraddizioni del passaggio da matrice contadina a dimensione piccolo-borghese. Comparin, buguggiatese nato nel 1973, si è chiesto perchè le cosche criminali abbiano ramificato in questa zona le attività malavitose, aprendo e chiudendo una sanguinosa stagione di rapine, estorsioni, sequestri, omicidi, durata fino al 1992.

L’esigenza di vedere

«Sentivo l’esigenza di vedere sotto il pelo dell’acqua, di rileggere un periodo che ha segnato per sempre la vita di tante famiglie, alle quali porto il massimo rispetto. Mi sono letto novemila pagine di atti processuali, dispositivi, sentenze, testimonianze di collaboratori di giustizia nell’ambito dell’inchiesta “Isola Felice”, facendomi un’idea di come quelle vicende abbiano portato l’Italia ad essere nella situazione in cui è oggi».

Fino al 1974 nell’alto Varesotto, terra di confine, paesi piccoli, una ricchezza diffusa, la delinquenza era rappresentata essenzialmente dal contrabbando di generi alimentari e sigarette. «Nell’immaginario popolare era un illecito veniale, accettabile, un po’ romantico», prosegue Comparin. «Tra il ‘74 e ‘75 ci fu un cambio di pelle. Prima c’erano gli agnelli, i pastori, i cani di guardia, poi sono arrivati i lupi».

Primo caso di rapimento a scopo estorsivo è quello del diciassettenne , buguggiatese come Comparin, finito in tragedia nonostante un pagamento di riscatto. «La gente era spaesata, non riteneva concepibile come potesse accadere questo in un’isola felice come il varesotto. Erano in difficoltà persino gli inquirenti, che si erano rivolti anche ad una sensitiva nelle indagini. Del resto non c’erano strumenti né risorse per combattere questa nuova criminalità: la parte più attenta della magistratura in quegli anni seguiva le piste del terrorismo rosso. Dal ’94 se ne occupò della Direzione Antimafia di Milano, coadiuvato da magistrati locali, con l’inchiesta “Isola Felice”. Per anni sono mancate persino le parole: il termine “ndrangheta” fu accreditato nei verbali giudiziari solo dal 2008».

Prudenza e rispetto

Raccontare un tema così delicato impone prudenza e grande rispetto per le famiglie delle persone coinvolte: «Non è ancora deciso quale forma prenderà “Dita di Polvere”» dice Comparin, che sta anche lavorando con una compagnia teatrale di Torino ad una riduzione drammatizzata del testo. Forte di una scrittura preziosa e affascinante, collaudata nel precedente “I Cento Veli”, il testo alterna in un saliscendi emozionale pagine criminali e vicende umane, a significare che i confini dei due mondi non sono netti. «Falcone e Borsellino credevano nelle opportunità offerte dai vari canali mediatici: letteratura, cinema, tv possono generare emozione rispetto a temi destinati altrimenti a restare all’interno delle procure, creare consenso attorno alle attività della magistratura. È doveroso ricordare il passato per alzare uno sguardo sul futuro. Non sarà la magistratura a vincere la mafia, saranno gli insegnanti nelle scuole: l’educazione è una luce che scioglie la nebbia».

Carla Tocchetti

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