«Io e lo stalker»

L’europarlamentare Lara Comi ha appena vinto la sua lunga battaglia contro l’uomo che la perseguitava. Il suo “ammiratore ossessivo” ora è in carcere ma non si è pentito, anzi: parla di un normale corteggiamento

Donne perseguitate, è un problema culturale. La legge c’è, va applicata in modo più severo.

Alle donne che scrivono al mio stalker? Vorrei conoscerle e spiegare loro quello che ho vissuto in questi nove mesi. Nel giro di pochi giorni, due notizie sconcertanti: da un lato, la sentenza di Torino che ha estinto il reato di stalking ad un uomo che ha offerto un risarcimento di 1500 euro alla vittima; dall’altro, l’avvocato dello stalker della Comi, l’imprenditore di Jesolo Giovanni Bernardini che è in carcere dal 22 settembre, che ha rivelato alla stampa delle lettere delle ammiratrici per il suo assistito.

Sono rimasta stupita soprattutto per due motivi: il primo è che lui non si sia pentito, perché la versione del corteggiamento, dopo otto denunce, tre fermi e un interrogatorio da parte dei Carabinieri, e il provvedimento restrittivo, non sta in piedi. Direi che è stato un corteggiamento quantomeno invasivo, mettiamola così. Un atto persecutorio non è un corteggiamento. L’altro è proprio quello di sapere che ci sono donne che gli scrivono: premesso che ognuno può fare quel che vuole nella vita, però a me piacerebbe conoscerle queste donne, e spiegare loro quello che ho vissuto io in questi nove mesi.

Se questa notizia è vera, vorrei capire quali sono le loro motivazioni, e se hanno compreso veramente che cosa è avvenuto. Io non augurerei a nessuna di loro di subire quello che ho subito io.

Non è il mio primo caso di stalking: nel 2013 commisi l’errore di denunciare solo dopo un anno e mezzo, tirando in lungo la vicenda per troppo tempo. Questa volta, dopo aver capito dagli errori passati, ho deciso che è il momento di portare avanti una battaglia dura e seria.

Sono rimasta molto sollevata. E spero che ci rimanga per molto, in carcere.

La mia battaglia continuerà in modo ancor più duro. Se non si è pentito e non ha capito il male che ha fatto, voglio capire come la legge tutela le vittime. Non come tutela Lara Comi, tutte le vittime. Perché, al di là del mio caso, chi ha la certezza che uno stalker non sia più pericoloso, con quello che succede oggi? Chi compie atti persecutori già di per sé va oltre i limiti della libertà. C’è una sottovalutazione del problema: si potrebbero prevedere esami psicologici per chi compie un reato come questo.

Per fortuna sembrerebbe che si stia risolvendo, ma non doveva nemmeno nascere. Perché non esiste che si possa commutare in una multa una pena per stalking. Nel caso specifico, appena 1500 euro di multa e il reato viene estinto: a quel punto uno stalker può pedinare e rendere la vita impossibile alla sua vittima pagando solo 1500 euro di multa. Inconcepibile.

La pena dev’essere certa. Nello stalking si compie violenza, che è o fisica o psicologica. E una violenza non può essere commutata con una multa. Come se la vita o la libertà di una persona valessero 1500 euro, è assurdo. La sofferenza che causa uno stalker non ha prezzo.

Devo dire che Forza Italia era già intervenuta, con l’onorevole Mara Carfagna, proprio colei che da ministro aveva introdotto il reato di stalking, ma il ministro Orlando è andato avanti, sottovalutando il problema della depenalizzazione. Spiace anche che il sottosegretario Boschi, pur avendo la delega alle pari opportunità, su questo tema non abbia fatto nulla per evitare che Orlando portasse avanti quella norma. Ma non ne faccio una questione di polemica politica, lo dico da donna. Del resto, è un controsenso dare fondi ai centri antiviolenza e alle iniziative contro il femminicidio, se poi si depenalizza il reato di stalking.

Moltissimo, soprattutto nella sensibilizzazione. Non tanto delle forze dell’ordine, che sono le più attente in assoluto, ma della magistratura e della politica. Non si possono interpretare le norme: quando si compie violenza, non c’è multa che tenga.

No, finché non la si vive. Quando la si vive in prima persona, la si capisce. È un problema culturale, per il quale occorre avere fin dalla scuola un approccio al rispetto della donna e, ancor di più, all’uguaglianza di genere. Pensavo fosse ormai assodato ma non lo è.

Mi stanno contattando molte donne, e questo è positivo. Quando vivi quest’esperienza, brutta, ti poni da donna, verso altre donne, e cerchi di farne da portavoce, per spiegare per quanto possibile quali sono i problemi sia alla politica che alla magistratura. Un esempio recente è un caso successo a Saronno, di una ragazza che nonostante varie denunce non è riuscita ad ottenere il provvedimento restrittivo per il suo stalker: l’ho contattata personalmente, cercando di capire come trovare una soluzione. Questo per me è l’obiettivo: nel momento in cui la mia storia è emersa, bisogna fare squadra tra donne per superare il problema.

La legge è molto chiara: definisce il reato di stalking nel momento in cui c’è una modifica dello stile di vita e uno stato di ansia e stress dovuto ad una terza persona. Deve essere applicata nel modo più restrittivo possibile, perché passa ancora troppo tempo tra denuncia e provvedimento, soprattutto quando si tratta di episodi gravi. Se qualcuno procura delle lesioni fisiche ad una donna, e continua a pedinarla, penso che il provvedimento in un caso del genere dovrebbe essere immediato. E poi c’è da dire che solo il 30% delle vittime di stalking presenta denuncia: a volte non denunciano perché sono convinte che “tanto non succede niente”.

Alle donne che mi contattano, do sempre il consiglio di denunciare, perché è l’unico strumento che hanno a disposizione: non devono farsi giustizia da sole, ma denunciare. Avendolo vissuto, il mio ruolo è di svelare quali sono i problemi che si vivono in una situazione del genere, i miei ma anche quelli di tutte le donne che si trovano nelle mie stesse condizioni. Io non ho subito violenze fisiche, ma ci sono donne che le hanno subito e che hanno ancor più bisogno di protezione, però devono denunciare.

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