«Io, mio marito e quel bacio al futuro santo Wojtyla»

«Abbiamo baciato il santo» questo potremo dire da oggi in poi io e mio marito Carlo. È una particolare coincidenza, ma in momenti diversi della vita ci siamo trovati di fronte al Papa polacco che oggi viene canonizzato.

In realtà il primo ricordo di Wojtyla è lo stesso che hanno moltissimi varesini, ovvero la salita al Sacro Monte del 1984.

Promotore della venuta di Giovanni Paolo II era stato il prozio di Carlo, monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, dopo la nomina ad Arcivescovo di Loreto nel 1988.

Per la consacrazione episcopale nella Basilica Vaticana, tanti familiari e amici lo avevano raggiunto a Roma.

«Avevo otto anni e ricordo la celebrazione in San Pietro con tutti i parenti e tante persone di Varese. Al termine della messa i parenti hanno potuto accedere alla cappella delle udienze. Eravamo in piedi in fila, zii, nipoti, cugini piccoli e grandi. Quando è passato il Papa ha stretto la mano a qualcuno prima di me e poi mi ha baciato sulla guancia», ricorda Carlo.

Resta la sensazione di quel momento: «Ho percepito un uomo alla mano, non una figura distante e imponente come quella di chi guida la Chiesa. La santità, invece, se si può riconoscere, l’ho intuita nel 2000 a Roma, quando è passato in mezzo a Tor Vergata e me lo sono trovato vicino. La sua era una figura carismatica che sapeva parlare ai giovani e che a loro ha saputo dare il senso dell’universalità della Chiesa nelle Giornate Mondiali della Gioventù».

Io, invece, l’ho guardato negli occhi e gli ho detto “grazie”.

Nel 2002 ero tra i 500 che a Castel Gandolfo hanno partecipato all’udienza per i cento anni dell’oratorio San Vittore. In fila per il baciamano le sensazioni erano moltissime, dall’euforia alla riverenza.

M’immaginavo una mano forte, quella di un pastore potente, ma inaspettatamente ne ho trovata una piccola e delicata, che mi ha fatto pensare alla carezza del perdono. Il passaggio era ritmato e mi ero preparata a dirgli “grazie”, ma con l’aiuto di mia sorella che era stata alla Gmg a Czstochowa sapevo come pronunciarlo in polacco: dziękuję (gencuie).

Quando mi sono inginocchiata e l’ho detto in fretta, quasi senza aspettare risposta, ma lui ha alzato lo sguardo. Occhi indimenticabili, non “corrotti” dalla malattia e neppure affaticati dall’età, ma pieni di tutto quel carisma che ha attirato, affascinato e convinto milioni di fedeli.

© riproduzione riservata