«Le Bettole? Una cattedrale di vita»

Negli anni Cinquanta e Sessanta ippodromo significava divertimento per giovani, famiglie e milanesi. L’ex ministro Zamberletti rivive quei tempi: «Nei fine settimana lì c’erano tutti, era parte della città»

– Durante gli anni Cinquanta l’ippodromo di Varese viveva un periodo di gloria anche se, per onor del vero, gli anni d’oro delle Bettole erano iniziati ben prima, sin dal 1937, con la sperimentazione di un dispositivo per la partenza dei cavalli in movimento che avrebbe dovuto sostituire i tradizionali nastri.
La nuova apparecchiatura era stata ideata e brevettata dal varesino e sul campo delle Bettole, lo stesso anno, fu sperimentata, portando quella stagione di corse al centro dell’attenzione di tecnici e grosse personalità dell’ippica.
Nel 1939 la presidenza della struttura passava nelle mani di , eminente personaggio dell’ippica varesina e nazionale, che ne resse le sorti per ben un trentennio. Sotto la gestione Curti, la Varesina visse, pur nei contrasti e fra molti disagi causati dal secondo conflitto mondiale, un periodo di intensa attività.

Con la scomparsa di Curti, nel giugno del 1969, si concludeva il periodo più lungo di attività che un presidente avesse dedicato, con slancio e competenza, all’ippica varesina. Ma le fortune della Società non cessarono.
Continuatore di quella politica di incentivazione di tutto ciò che potesse esaltare l’impegno di Varese nell’attività dell’ippica, erede di un patrimonio sportivo che prestigiosamente lo poneva fra i più quotati allevatori di purosangue, incline a farsi carico di tutti i problemi connessi al prestigio delle corse varesine,

ecco .
In quegli anni la vita cittadina si animava intanto di nuovi avvenimenti: i lavori per la realizzazione dell’aeroporto intercontinentale della Malpensa e l’acquisto, da parte del Comune, dell’antica Villa Mirabello da destinare ai Musei Civici. L’apertura dell’aeroporto apriva nuove prospettive al ruolo di Varese e della provincia nel contesto delle più importanti città del Nord. Per la prima volta in Italia venne sperimentato e istallato alle Bettole il totalizzatore mobile per consentire agli appassionati di seguire meglio l’andamento del gioco.
«L’ippodromo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta faceva parte della vita cittadina – ricorda l’ex ministro varesino, i – Tre erano le attrattive di Varese: il ciclismo, il basket e l’ippodromo. Alle Bettole ci andavano tutti i varesini, anche i meno sportivi».
Zamberletti ricorda che il pubblico che viveva la struttura era vasto. «Anziani, tanti giovani, intere famiglie: nel fine settimana tutti confluivano all’ippodromo». Questo suo appeal dipendeva anche dall’intenso turismo milanese che gravitava in terra varesina.
«Quando Varese era un’ambita zona di villeggiatura per i milanesi, l’ippodromo era diventato una sorta di prolungamento di quello di San Siro. I villeggianti venivano nel nostro territorio per godersi l’aria fresca del Campo dei Fiori, del Sacro Monte e per divertirsi alle Bettole, che allora era la cattedrale del tempo libero. Le stagioni delle corse venivano organizzate in modo tale da non sovrapporsi: se erano previste gare a San Siro, a Varese non si correva e viceversa».

Ora le cose sono radicalmente cambiate. «Il lento declino della struttura – continua Zamberletti – credo sia iniziato negli anni Settanta. Penso che le principali ragioni siano state due: le abitudini dei varesini hanno iniziato a cambiare, facendo diminuire il loro interesse nei confronti dell’ippodromo, e la perdita delle frequentazioni milanesi per le vacanze nel Varesotto».
L’ex ministro ritiene che, ormai, ci sia ben poco da fare per salvare le sorti delle Bettole, seppur con una vena di rammarico.
«Se Varese perde anche questo, diventerà una città dormitorio nell’hinterland milanese. Il buon Borghi si è impegnato molto, ma il settore è in crisi. Non credo nemmeno che Expo possa cambiare lo stato delle cose: come i campionati del mondo di ciclismo, la sua durata è talmente ridotta che non lascerà alcuna eredità sul territorio».