Marco e quell’incidente che svanisce sulla neve «Il mio guscio è libertà»

Il vento freddo che ti accarezza la faccia. L’aria che congela le lacrime. Quel vuoto allo stomaco che regala botte di adrenalina quando stai per buttarti giù dalla discesa.

Il meraviglioso silenzio che si può ascoltare solo in cima a una montagna. Chi non ha mai messo un paio di sci ai piedi mica lo sa che cosa significano queste cose. Chi invece le ha provate almeno una volta nella vita sa che, poi, non se ne può più fare a meno.

era un ragazzo che viveva sugli sci: la prima volta a tre anni, l’ultima volta a diciannove. Poi, la botta. Un incidente stradale di quelli brutti davvero. Tetraplegico: significa che dal collo in giù non puoi più muovere un muscolo. Sedia a rotelle per tutta la vita.

«Tre mesi prima dell’incidente – ci racconta Marco – ero sulla Marmolada ad allenarmi: perché sciavo pure d’estate, ero uno bravo. Poi, di colpo, più niente: io ero in carrozzina e volevo soltanto tornare a sciare, ma chi mi stava attorno diceva che era impossibile. I medici continuavano a ripetermi che la mia lesione era troppo alta, che la muscolatura era troppo debole, che dovevo scordarmi lo sci e la neve. Che avrei solo potuto nuotare: nuota,

mi dicevano». Finché Nicola è , daveriese e tra i fondatori della Freerider. È lui che ha preso per mano Marco e l’ha riportato sulla neve: «Ho ripreso a sciare grazie a lui: per tre anni, tutti i fine settimana io e Nicola siamo andati in montagna. Sarò caduto mille volte: mi sono lussato tre dita, due volte mi sono aperto uno zigomo e due volte un labbro. Ma io volevo tornare a sciare da solo». Oggi, Marco è il testimone più bello di quello che fa un’associazione come la Freerider: «Sulla neve mi sento come gli altri, nel mio mondo, felice e vivo. Quando sono seduto sul mio “guscio”, sul mio monosci, io mi dimentico di stare su una sedia a rotelle».

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