I ricordi di un nonno “morto” a Varese

Preso a Ponte Tresa e rinchiuso qui, poi Auschwitz. Liliana Segre oggi racconta quei giorni. Questa storia è diventata un film di Marco Bechis

, figlio di e , nato in Italia a Venezia il 28 aprile 1870, è una delle vittime della Shoah. Camerino è il nonno di, la cui storia viene raccontata nel film inedito di , “Il rumore della memoria. Il viaggio di Vera dalla Shoah ai desaparecidos”.
Si tratta del viaggio di Vera alla ricerca del nonno, catturato mentre cercava di fuggire in Svizzera a Lavena Ponte Tresa e poi rinchiuso in cella nel carcere di Varese e successivamente morto ad Auschwitz. Una ricerca simbolica, sulle tracce del percorso compiuto da nonno Ettore nel tentativo di mettersi in salvo, ripercorrendo i luoghi di prigionia.
La giovane nacque nell’Italia fascista. A undici anni, dopo l’approvazione delle leggi razziali del 1938, i suoi genitori capirono che era ora di scappare da quel Paese percorso da rigurgiti di odio, e portarono la famiglia in Argentina.

«Mio nonno disse che non era il caso di esagerare e volle restare. È morto in un campo nel 1943, ad Auschwitz», ha raccontato in una intervista recente. Ma prima di finire sul binario 21 della stazione centrale di Milano, Camerino ha cercato di valicare le Alpi verso la Svizzera ma, durante la fuga, i campanelli posizionati nella rete del valico di Lavena Ponte Tresa suonarono è così venne arrestato e condotto in cella a Varese.


Il nonno di Vera non fu l’unico che in quegli anni cercò una via di fuga oltre confine.
Anche e la sua famiglia tentarono di espatriare, ma un ufficiale svizzero, di una piccola stazione di polizia di frontiera del Canton Ticino, li riconsegnò alle autorità italiane.
Così anche Segre, all’età di 13 anni, si trovò rinchiusa nel carcere femminile di Varese, sola nell’umiliante trafila della fotografia e delle impronte digitali, sola a camminare in quei corridoi dietro a una secondina.
Va ricordato che la mattina del 12 settembre 1943 la città di Varese venne occupata da una Compagnia di SS al comando dello Scharführer .
La resa fu immediata e senza condizioni, con la consegna da parte del Podestà delle chiavi della città.
La guardia tedesca di frontiera occupò la fascia di confine, da Pino Lago Maggiore a Porto Ceresio, per impedire la fuga degli ebrei e contrastare la formazione di bande partigiane. Varese subì anche le attenzioni dell’Ufficio Centrale degli armamenti e della produzione bellica che pose sotto controllo militare le “aziende protette” della zona.

Nessun tentativo di rivolta inizialmente fu messo in atto nei confronti delle SS che occuparono la città con un plotone di soli quaranta uomini.
«Ricordo che erano ospitati in alcuni appartamenti della Varese bene – racconta che al tempo aveva poco più di dieci anni – Erano alti ufficiali vestiti in modo sempre elegante».
«Noi giovincelli non ci rendevamo veramente conto di ciò che stava accadendo, eravamo vestiti da balilla e i nostri maestri erano del regime. Ricordo un episodio forte: fucilarono tre partigiani davanti all’Ippodromo e ci portarono a vedere i loro corpi privi di vita». Non possiamo nemmeno dimenticare che dal primo febbraio 1944 iniziò il reclutamento volontario per completare i reparti della Waffen SS che, oltre a contrastare i partigiani, avrebbero dovuto battersi contro gli angloamericani.
Entrarono così in funzione dal marzo 1944 i centri d’arruolamento. Tra questi vi fu anche il centro di reclutamento di Varese.
«Tra giugno e luglio del 1944 Emanuele III destituì Mussolini – continua Cazzola – Ricordo bene quel giorno. Poi, iniziarono ad arrivare in città gli americani e iniziarono le fucilazione dei fascisti varesini in viale Belforte che si erano nascosti».
Sono in pochi a ricordare le celle varesine dove gli ebrei venivano stipati, torturati, interrogati in attesa di essere trasferiti sui convogli destinati a raggiungere i campi di concentramento come accaduto alla piccola Liliana e a nonno Ettore.
Due vite, quella di Segre e quella di Camerino, destinate a incrociarsi. Lei 13 anni, lui 74. Entrambe incarcerati nello stesso periodo a Varese, poi a San Vittore e infine sullo stesso convoglio che quel 30 gennaio del 1944 dal binario 21 li condusse ad Auschwitz.
I due non si sono mai conosciuti: lei nel campo di concentramento venne mandata a lavorare da schiava, lui al gas. Lei è sopravvissuta, lui morì all’interno di quel campo maledetto.