«Noi clochard, il popolo invisibile»

Viaggio tra i numerosi senzatetto che affollano la zona delle stazioni per ripararsi dal gelo invernale. Kinsley, nigeriano: «Non trovo più lavoro». Adel, tunisino: «Mi bastano sacco a pelo e un po’ di vino»

– Per tetto un cielo di stelle, il lato romantico della vita da clochard. Ma il resto è duro. Disagi, emarginazione, solitudine, promiscuità e soprattutto tanto freddo.
La colonnina di mercurio segna -4 gradi. È sabato notte e le temperature indicano che l’anomala ondata di tepore delle scorse settimane ha abbandonato Varese, lasciando spazio all’inizio della vera stagione invernale

Così, abbiamo deciso di fare un viaggio tra i locali dismessi, punti di raccolta del piccolo esercito degli invisibili che popola i luoghi angusti della Città Giardino.
È l’esercito dei senza volto e senza nome che si muovono come zombie. Vagano per la città in cerca di un posto al coperto. Sono i barboni di Varese. I senzatetto dell’opulento capoluogo di provincia. O, per dirla alla francese, i clochard.
Quelli che vivono come fantasmi ai lati dei nostri marciapiedi,

ai margini della nostra società. Quelli che sembrano tutti uguali, con le loro storie che appaiono sovrapponibili.
Trovarli non è difficile, basta cercarli negli stabili dimenticati intorno alle stazioni, come quello tra le vie Bainsizza, Monte Santo e Grado. Un’area dismessa, che attende di rinascere all’interno del piano di riqualificazione del comparto stazioni, letteralmente abbandonata a se stessa.
E poi ci sono loro, i clochard della stazione, spariti nei mesi scorsi e riapparsi proprio in queste notti con il ritorno del gelo. Si spartiscono spazi e binari in un tacito accordo di “buon vicinato”. Molti di loro non possono essere accolti nel dormitorio degli Angeli Urbani perché o sprovvisti di permesso di soggiorno, oppure perché persone con il vizietto dell’alcol. abita sul treno del binario 2. È un uomo nigeriano di 40 anni, approdato nella nostra provincia 13 anni fa, quando ancora agli occhi di un immigrato risultava l’Eldorado del nord Italia. Rannicchiato sui sedili del vagone, Kinsley ci racconta la sua storia: «Dormo in strada da più di tre mesi. Per colpa della crisi non riesco più a trovare lavoro. Fino a pochi anni fa, attraverso le agenzie interinali, riuscivo sempre a impiegarmi, come muratore o come imbianchino».

Ma ora non c’è più trippa per gatti: «Sono arrivato a Varese perchè alcuni amici che erano qui mi avevano parlato molto bene di questo posto e non ho avuto alcun tipo di problema fino a poco tempo fa. Ora sono bloccato qui».
L’uomo ha moglie e un figlio in Nigeria: «Tornerei anche nel mio Paese, ma non ho i soldi per poterlo fare. Se c’è qualcuno che può offrirmi una via d’uscita gliene sarò grato, sono disposto a fare qualsiasi tipo di lavoro».
Al binario 5 troviamo , un tunisino di 40 anni. È sdraiato sul pavimento del treno, imbacuccato all’interno di un sacco a pelo rosso e puzza fortemente di alcol. Adel chiede coperte e calze nuove, parla molto bene l’italiano nonostante il palese stato di ubriachezza nel quale si trova. «Mi piace bere – spiega – Sto bene così come sto, mi bastano coperte e vino rosso per superare l’inverno. Lavorare non fa per me».