Se immigrazione è integrazione. La storia di un sogno, ancora vivo

Dal Senegal a Busto, passando per Palermo: insieme, per aiutarsi

Tutto è cominciato negli anni 2001-2002 a Palermo, la comunità senegalese era emigrata 20 anni prima. Il loro principale lavoro era il commercio. Tanti di noi non erano andati a scuola nel nostro paese: avevano un livello di comunicazione in italiano molto basso ma sapevano come convincere un cliente a comprare la merce. Quando arrivava il momento di rinnovare il permesso di soggiorno, cominciavano i veri problemi perché c’erano molti documenti da presentare e tanti avevano bisogno di essere accompagnati.

Da lì nacque l’idea di avere un luogo e dei momenti dedicati a risolvere questo problema. Io ero incaricato di accompagnare i miei connazionali ai colloqui per il rinnovo dei documenti in quanto me la cavavo abbastanza bene con la lingua italiana. Così abbiamo deciso di far nascere l’Associazione Senegalese della Sicilia Occidentale, di cui ero Segretario generale, con il compito di accogliere i nuovi arrivati, al disbrigo di documenti (come avere la partita IVA, come ottenere l’autorizzazione per allestire i banchi vendita dei nostri mercatini ed altre formalità) e all’orientamento verso le strutture amministrative e sanitarie del territorio. Due anni dopo è nata per nostra iniziativa l’Associazione dei Migranti della Diaspora Africana, che raggruppava le nazionalità africane che si trovavano sul territorio.

Ero il segretario generale aggiunto dell’AMDA e nostro grande partner era la Caritas diocesana di Palermo sotto la guida di Padre Benedetto, una persona molto generosa che aiutava tanto. Continuavamo ad aiutare nell’ottenere i documenti necessari, poi abbiamo pensato di occuparci pure dei figli degli immigrati, da pochi mesi di età fino all’ultimo anno della scuola materna. La Caritas ci aveva dato uno spazio e noi dovevamo creare un’attività: è nata in noi l’idea di creare un asilo nido.

Infatti noi immigrati abbiamo problemi di dove lasciare i nostri figli quando siamo al lavoro e non possiamo sempre pagare una baby sitter. Io sono insegnante di professione e sono stato per sei anni preside di scuola con più di 150 bambini, quindi gli amici e colleghi di lavoro mi hanno affidato il compito di portare avanti l’asilo, che ospitava cinquanta bambini di più di venti nazionalità diverse, affiancato da una decina di persone, tra volontari e lavoranti, e da alcuni amici psicologi e insegnanti.

Le attività funzionavano a meraviglia e accudivamo i bambini di mattina dalle ore 7 fino al pomeriggio alle 18 con corsi di lingua francese, inglese e italiano per i nuovi arrivati. La scuola era al centro di tutti dibattiti sull’immigrazione. Giornalisti dei televisioni locali, riviste, giornali provinciali erano tutti interessati a questi temi e alla nostra iniziativa. Io stesso come coordinatore ero finito sui giornali. Da lì è nata una forte gelosia tra il presidente dell’associazione, un ex politico della Costa d’Avorio, e io come coordinatore della scuola. Purtroppo i politici vogliono sempre essere in primo piano. Vogliono pure appropriarsi di tutte le belle opere fatti da altri. Quando sei un professionista sincero e onesto non puoi affiancarti con un politico. Finché non mi ha cacciato dalla scuola.

Tutti erano con me, non con la mia persona ma con le mie idee, con il modo in cui operavo nella scuola con i bambini e i loro genitori. Padre Benedetto provò a mediare ma le posizioni erano inconciliabili. Abbiamo perso tutti, e abbiamo perso molto. Io ero da un lato molto irritato, ma dall’altro lato ero fiero per quello che abbiamo realizzato. Qualcuno mi ha fatto perdere un bel lavoro importante che avevo iniziato con tante passione, un altro l’ha continuato mentre io ero ancora in carica. Ero fiero di me perché ho lasciato ad altri un lavoro ben fatto. Dovevano solo continuare su quella direzione. Quel locale era chiuso da più di venti anni. L’ho aperto, ci ho piantato alberi, ci ho messo dei bambini e la gente cominciava a frequentarla: questa scuola è l’asilo nido Madre Teresa Di Calcutta, in piazza Origlione a Palermo, quartiere Ballarò. Non era la prima volta che facevo questo tipo di lavoro. Nell’ultima scuola dove sono stato preside, avevo un terreno nudo, vuoto senza niente. Dopo sei anni ci ho costruito cinque aule, un blocco con bagno e servizi, un giardino per la coltivazione, un campo di calcio e una biblioteca.

A conclusione di questa vicenda, il consiglio che dò a me stesso e a tutti coloro che vogliono lavorare nel campo sociale è di avere l’onesta, la sincerità, l’umiltà, di accettare il confronto, il diverso e di avere un grande cuore. Avevamo perso una grande occasione, ma noi eravamo ancora pronti a continuare il nostro sogno: da lì nacque A.M.I.S., un’altra bella esperienza in campo sociale.