Tu all’Aprica con Ivan in maglia rosa. Indimenticabili

Il ricordo di Alberto Coriele

È difficile distogliere la mente da quel sorriso, da quell’espressione beffarda. Tutto passa, tutto passava secondo Michele Scarponi. Una vittoria, una sconfitta, una caduta, sono le cose della vita. Ma una cosa non passava mai quando c’era Michele Scarponi: il suo sorriso. E non era di circostanza, era un biglietto da visita. Non poteva risultare antipatico, Michele Scarponi, perché non prendeva sul serio nemmeno le interviste. E con il sorriso ha affrontato anche i momenti difficili, come la squalifica per l’Operacion Puerto.

Si allenava a volte con un pappagallo sulla spalla, Frenkie, che lo seguiva ogni volta che lo vedeva uscire in bicicletta. Aveva dedicato il suo ultimo successo lunedì scorso ai suoi bambini, Giacomo e Tommaso, che mai lo avevano visto a braccia alzate, e alla sua gente del centro Italia, duramente colpita dal terremoto. E noi ce lo ricordiamo anche quel giorno, era il 28 maggio 2010 in cima al Passo dell’Aprica: braccia al cielo, volto sfinito,

perfetto completamento di un quadro che vide Ivan Basso conquistare il suo secondo Giro d’Italia. Scarponi vinse la tappa, Ivan tornò in maglia rosa: una giornata epica ed indimenticabile. Era un ciclista all’antica, e il solo declinare il verbo al passato è un castigo difficile da sopportare. Uno di quelli che lasciava tutto sull’asfalto, che si sfigurava quando la strada saliva ma che non mollava un centimetro, sia che fosse per sé sia che fosse per il suo capitano.

La sua essenza, vera, è tutta in queste sue parole, tratte da “Il diario del gregario”, un libro di Marco Pastonesi: «Ho capito che, nonostante tutto, la gente continua ad amare il ciclismo. E lo ama soprattutto quando noi corridori facciamo più fatica, quando sputiamo l’anima, quando sembriamo crepare da un momento all’altro, forse perché sperano di ereditare qualcosa, magari la bici. Io credo che il ciclismo, soprattutto in quelle tappe lì d’alta montagna, sia una specie di duello al sole fra l’uomo ed il corridore: il corridore spara all’uomo, cioè a se stesso, e prosegue fino all’arrivo. È per questo che si arriva morti. Adesso scappo. E domani sarò a casa. Stessa spiaggia, stesso mare. Ciao a tutti. Michele».