«Varesini lavoratori. Questa città mi piace»

Giovanni Pepè, da tre mesi Questore di Varese, si racconta al nostro giornale

Giovanni Pepè, da tre mesi Questore di Varese, sta iniziando ad ambientarsi. E la città che gli sta attorno, giorno dopo giorno, gli piace sempre di più. «Prima di arrivare a Varese – racconta – stavo a Cuneo: una città diversa come diversa è la provincia. Anche se ormai non ha più molto senso parlare di provincia. Una volta la provincia era sinonimo di tranquillità, di posti in cui non succedeva quasi mai niente: ora, no. Ora è diverso. E la gente se ne sta accorgendo».


Torno alla mia esperienza a Cuneo. La gente era abituata a lasciare aperte le porte delle case, quando usciva: tanto sapevano che nessuno sarebbe mai entrato. Invece ultimamente il fenomeno delle rapine nelle case è esploso, e la gente non capisce.


Non so se anche qui la gente non chiudesse le porte di casa, ma so che il fenomeno tocca eccome anche queste zone. Ed è una cosa brutta, terribile: venire violati nell’intimità della propria casa è un’esperienza devastante.

In genere, la sicurezza. Qui a Varese se ne parla molto, a partire dalle situazioni più critiche in città fino ad arrivare al Varesotto: è una richiesta, senza dubbio. Ma credo di poter dire che quest’area non presenta delle criticità particolari.

Tanti territori in uno. C’è la città, con le sue caratteristiche. C’è il sud della provincia che va verso Milano e c’è invece il nord che sembra essere un altro mondo. E poi c’è Malpensa, area che conosco molto bene e che ha delle criticità tutte particolari, tipiche di un grande aeroporto che è una porta aperta verso il mondo.

Li chiamerei piuttosto fenomeni, da valutare con grande attenzione. C’è la presenza di immigrati che va monitorata sempre e costantemente, c’è una piaga come la tossicodipendenza giovanile che purtroppo sta tornando prepotentemente d’attualità.


No. Certo: se fossimo il triplo, sarebbe meglio. Ma la nostra struttura è razionalizzata e copre le esigenze del territorio. Il mio compito, sostanzialmente, è quello di gestirla: di fare un po’ da amministratore

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Per definizione, in tutto: ma si migliora con il lavoro, con l’attenzione. Non siamo come al calciomercato, che si può andare e comprare quello che ci manca.

Per rispondere correttamente, bisognerebbe entrare in ragionamenti complessi che stanno sopra le nostre teste. Posso dire che di sicuro è stata messa in campo una corretta prevenzione, che raccogliamo i frutti di una politica internazionale lungimirante. Ma non bisogna mai abbassare la guardia, mai.


Ero a Cinisello Balsamo, e smascherammo un’organizzazione che aveva messo in piedi una truffa con il gioco del Lotto. Manipolavano le estrazioni, vincevano e facevano vincere grosse somme di denaro. Questa vicenda ebbe una grande eco mediatica, e la ricordo bene.


Mi piace, e non ho fatto fatica ad ambientarmi. Vivo a Monza da trent’anni e mi sento un po’ lombardo. Rispetto a Cuneo mi sembra una città più cara, ed è più difficile trovare da mangiare davvero bene.

Forse dirò una banalità, ma la prima parola che mi viene in mente è: lavoratori. Però è proprio così: qui c’è un ospedale che è un’eccellenza a livello nazionale, ci sono due università, c’è l’industria. Queste cose non arrivano per casi.

Il calcio mi piace, da ragazzo giocavo e poi per ragioni anagrafiche mi sono dato al tennis. So che qui la pallacanestro è una religione e so che i miei predecessori hanno dovuto gestire i derby con Cantù, che sono molto sentiti. Io sono arrivato che il derby con Cantù era già stato giocato, e non ho ancora avuto tempo di andare a vedere una partita dal vivo. Ma lo farò di certo, nel prossimo campionato. Così come andrò a vedere una partita di pallavolo a Busto: mi piace molto lo sport, e mi piace l’atmosfera che c’è attorno alla pallavolo. Tanta gente, tante famiglie, un tifo sempre corretto: a favore e mai contro l’avversario.