Di fronte al dilagare delle offerte online c’è anche chi dice no: come i tassisti sul caso UberPop, così anche gli albergatori, sia a livello nazionale che locale, non ci stanno e vanno all’attacco dei furbetti del turismo low cost: «La nostra non è una battaglia anacronistica e per la difesa corporativa – ci tengono però a precisare- ma una questione che si gioca sul piano della concorrenza leale e della sicurezza».
«Come Federalberghi – dice il direttore varesino,
– abbiamo chiesto a Regione Lombardia di intervenire a livello normativo per disciplinare il proliferare di iniziative che sono ben al di là della condivisione di una stanza e si configurano come vere attività di ospitalità».
Attività che, secondo gli albergatori, danneggiano il normale funzionamento del mercato distorcendo la concorrenza. «Si tratta di iniziative che sfuggono alle regole – dice ancora Margherita – dal momento che per questi soggetti non sussistono gli obblighi a cui sono sottoposti gli albergatori. Così possono praticare tariffe al ribasso spesso esentasse». Il timore è infatti anche legato al lato fiscale. «Il pagamento delle imposte e delle tasse di soggiorno non è garantito – aggiunge Margherita – Mancano regole chiare e controlli e così chi vuole fare il furbo ci riesce».
Una indagine condotta da Federalberghi ha evidenziato come in un anno le presenze in alloggi privati non registrati presso i Comuni siano state 73,8milioni per un introito di 2,4 milioni di euro e una evasione fiscale di 110milioni con 57 milioni di tasse di soggiorno non versate. A ciò si aggiungono le preoccupazioni legate alla sicurezza, decisamente più sentite in città che possono essere luoghi sensibili rispetto a possibili attentati.
«Gli albergatori – spiegano da Federalberghi – sono chiamati a registrare e comunicare i nominativi di chi soggiorna, mentre non è detto che il privato lo faccia». E poi ancora ci sono le norme igienico sanitarie, i controlli e i paletti per la sicurezza degli ospiti.
Tutti capitoli che, in assenza di regole chiare e valide per tutti, stanno creando una zona grigia dell’economia che rischia di gettare ombre sullo spirito da cui è nata la sharing economy.