L’equilibrio è “instabile”. I giovani? Meglio integrare

L’altro fronte - Per gli over 50 poche sorprese, perplessità per i quarantenni. Per gli altri situazione più critica

Il tema della pensione complementare? Un argomento sicuramente poco dibattuto e approfondito a tutti i livelli: a partire da quello accademico, dove non ha avuto grande appeal tra la manualistica di settore, e neppure tanto chiacchierato tra i lavoratori o tra non addetti ai lavori.
«Con le buste arancioni – dice docente di Diritto del Lavoro presso il dipartimento di economia dell’Università dell’Insubria – Sicuramente è come se l’Inps avesse acceso un faro e puntato l’attenzione sulle forme di pensione integrativa».
Un’operazione di informazione che, al di là di tutto, sta producendo il risultato atteso.

Il nocciolo della questione, da un punto di vista tecnico è presto detto. Il sistema previdenziale così come siamo abituati a conoscerlo, non regge più.
Al di là di singoli calcoli, previsioni e proiezioni, il dato di fatto è che l’invecchiamento della popolazione e il ritardo nell’ingresso delle nuove leve nel mondo del lavoro, hanno messo in crisi gli equilibri tra contributi versati e assegni da corrispondere ai pensionati.
«Ciò non succede da ora e non accade solo nel nostro Paese –

osserva Marzani – Basti pensare alla struttura dei sistemi previdenziali in altri Paesi europei e al fatto che, di secondo pilastro per la pensione, si parla ormai da decenni».
Lo spartiacque nel sistema italiano risale ai tempi delle riforme degli anni ’90, firmate la prima da Dini e la seconda da Amato.
«Lì si è passati dal metodo retributivo – spiega Marzani – che considerava le retribuzioni degli ultimi anni di lavoro per determinare l’assegno Inps, a quello contributivo che si basa invece su quanto versato effettivamente nel corso degli anni di vita lavorativa». L’anno di passaggio è il 1996.
E oggi cosa succede? «Oggi succede che le Buste arancioni potranno verosimilmente essere soddisfacenti per chi ha cominciato a lavorare prima del 1996 e accede dunque a un sistema di calcolo misto – spiega Marzani – Stiamo parlando di chi oggi ha più di 50 anni». Per chi è nella fascia dei 40 ci saranno un po’ di perplessità, ma saranno soprattutto i giovani a non essere soddisfatti. «Con il contratto a tutele crescenti – dice il docente – si ha sicuramente una copertura migliore da questo punto di vista rispetto alle vecchie co.co.pro. e co.co.co. Il legislatore ha anche fatto in modo di alzare la contribuzione previdenziale sulle forme non stabili di contratto, proprio al fine di scoraggiarne l’utilizzo».
Oggi, rispetto al passato, quello che più pesa per i giovani non è tanto dunque lo squilibrio nei versamenti, quanto invece l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro e la prospettiva di una vita lavorativa instabile, con periodi magari di inattività che finiscono per pesare sulla pensione futura.

Che fare allora? «Gli strumenti alternativi sono assolutamente da prendere in considerazione – dice Marzani – a seconda del tipo di lavoro si potranno trovare risposte a livello di Fondi pensionistici legati alla contrattazione collettiva oppure accedere ai prodotti presenti sul mercato e messi a punto da Banche e Assicurazioni: ovviamente in questo caso prestando la giusta attenzione, dal momento che si tratta di prodotti finanziari che richiedono un certo grado di conoscenza e un approccio adeguato».