Brexit, cosa dobbiamo aspettarci?

Per capire cosa accadrà nelle prossime settimane, dopo la Brexit, Confartigianato Imprese Varese ha intervistato Andrea Boda, operatore finanziario ed esperto analista.

– Si apre la seconda giornata di scambi finanziari sui mercati dopo il clamoroso voto inglese di giovedì scorso che ha sancito la cosiddetta Brexit dall’Ue. Per capire cosa dobbiamo attenderci dalle settimane che verranno, Confartigianato Imprese Varese ha intervistato Andrea Boda, blogger de il Pianoinclinato.it e attento osservatore delle dinamiche di mercato.

Venerdì è stata una giornata campale per tutte le borse mondiali, da Tokyo a New York, passando per i listini europei. Milano e Madrid, però, hanno perso più delle altre a causa -probabilmente – di un timore di “contagio” dagli eventi inglesi. Per la Spagna è facile intuire che un evento di rottura come il voto per la Brexit sia stato visto come condizionante per le elezioni politiche della domenica seguente, generando il timore di una escalation di euroscetticismo. La questione italiana è invece legata alla dipendenza del nostro listino dal sistema bancario. Il primo impatto concreto della Brexit è infatti di carattere finanziario e tutte le banche d’Europa hanno subito pesantissime perdite venerdì.

L’enorme peso delle banche nel nostro indice di Borsa ha reso ancora più nero un venerdì che era già a tinte fosche. Purtroppo la fragilità del nostro sistema bancario non è una novità, basti pensare che l’unica banca italiana considerata sistemica in Europa (Unicredit) ha già perso il 60% del suo valore in questa prima metà dell’anno. In Italia il credito è stato erogato in maniera vistosamente inefficiente, ed il colpo della Grande Crisi su un’economia fondata sulle microimprese è stato più duro che altrove. Il risultato è che le nostre banche si ritrovano piene di crediti deteriorati (Non Performing Loans – NPL) che, per essere coperti, le costringono ad annunciare aumenti di capitale. Gli azionisti però, oltre ad avere disponibilità sempre più ridotte, sono poco incentivati ad investire altro capitale in attività ad alto rischio e poco redditizie come le banche.

George Soros ha dichiarato pubblicamente di scommettere sull’esito affermativo al referendum inglese, contrariamente al consensus generale, ed ha indovinato. Siccome non è la prima volta che “indovina” è ragionevole tenere in buon conto le sue “previsioni”: le prospettive economiche dell’Italia non sono favorevoli, e per giunta sono appese alla necessità che non accada un qualche evento esogeno che metta in crisi la già debole crescita. È anche per questo che la Brexit ha fatto così tanti danni: così come le liberalizzazioni di mercati e frontiere hanno generato valore e crescita, la loro interruzione provoca perdita di valore e riduce le prospettive di crescita. La Brexit, quindi, è una seria minaccia alla crescita globale, cosa che si rifletterà sul contesto economico e anche sulle prospettive dei risparmiatori, che per proteggere i loro risparmi e realizzare degli investimenti soddisfacenti si troveranno a fare sempre più fatica.

Qui entriamo in territori inesplorati, non possiamo sapere la natura degli accordi che eventualmente verranno presi. Per ora sappiamo che, da quando il Regno Unito attiverà l’articolo 50 del Trattato della UE, inizierà un periodo di due anni destinato alle trattative di uscita per ridisegnare gli accordi. Certamente rischiano di essere coinvolti di più tutti i business che hanno a che fare con logistica e burocrazia. Potrebbe cambiare molto, potrebbe cambiare poco. Potrebbe non cambiare nulla: se –

per qualsiasi motivo – il Regno Unito non attiverà l’articolo 50 non ci sarà alcuna “exit”. Sembra incredibile, ma il referendum era solo consultivo, manca l’atto politico e stanno emergendo svariate ragioni, a partire dalle reazioni degli scozzesi, che fanno pensare che tutto potrebbe sorprendentemente finire a “tarallucci e vino”. Occorrerà aspettare fino al 21 Ottobre, data del Consiglio d’Europa in cui il nuovo premier inglese potrà presentare l’attivazione dell’articolo 50. Prima di allora sarà solo speculazione. Politica e borsistica.

È possibile. L’Inghilterra è sempre stata un grande freno ad una maggiore unione in Europa. Il timore che da Londra parta un “contagio” politico verso altri paesi UE potrebbe in effetti fungere da stimolo per convergere più rapidamente. Certamente per riformare i Trattati ed il funzionamento dell’Unione che, così com’è, in effetti non funziona. All’Unione bancaria, con relativa garanzia europea dei depositi, ci arriveremo certamente. Sul bail-in dubito che possa giungere un ridimensionamento perché è un requisito per il raggiungimento dell’Unione bancaria. Gli eurobond sono, nella timeline, più in là ancora. Detto ciò, portare la sede dell’EBA a Milano, considerando quanto le nostre banche abbiano bisogno di messaggi forti, sia per loro che al mercato, sarebbe un’occasione importante.

L’economia italiana è fortemente condizionata dalla pesantezza dell’apparato pubblico: il fisco opprimente e la burocrazia sono il frutto dell’esigenza dello Stato di prendersi quote rilevanti dell’economia nazionale. Quello che serve all’Italia è una cura dimagrante dello Stato, a vantaggio di chi lavora con successo e con merito. Facilitare gli investimenti privati può aiutare, ma non rappresenta la vera svolta.