Garanzia Giovani, c’è ma non si vede

Il portale c’è, è operativo, e quasi 170mila ragazzi under 30 di tutta Italia si sono già iscritti. Ma le opportunità sono ancora poche, troppo poche, e sono le stesse aziende a spiegare il motivo: Garanzia Giovani, nonostante il progetto meritevole e gli annunci del governo, non ha ancora gli strumenti necessari per essere operativo, quando avrebbe dovuto esserlo, secondo le dichiarazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ai primi i maggio.

In realtà, come denuncia al Corriere della Sera Michele Tiraboschi, giuslavorista e allievo di Marco Biagi, i ragazzi si iscrivono al portale pieni di speranza, ma di fronte a sé hanno ancora una porta chiusa. L’associazione Adapt ha analizzato le prime novemila offerte di lavoro apparse sul portale, e i risultati non sono dei migliori: per il 90% si tratta di opportunità già visibili sul portale ministeriale Clic lavoro e sui siti delle agenzie private come Adecco, Gi Group, Randstad, Obiettivo Lavoro, Trankwalder, Maw Men at Work, Kelly Services. I calcoli dell’associazione portano ad un’opportunità formativa o professionale per solo uno su tredici dei giovani iscritti.

Un problema che denunciano le stesse aziende varesine: tra le associazioni di categoria, da Confartigianato Varese ad Univa, c’è l’impressione di trovarsi di fronte ad un progetto ancora monco, dove le aziende si possono iscrivere, ma senza avere idea di come si debba procedere. Il tutto con un investimento di fondi comunitari per 1,5 miliardi di euro, che nelle intenzioni del governo dovrebbero servire proprio per far incontrare domanda e offerta di lavoro, stage, formazione specifica. Per aiutare concretamente, insomma, i «neet», i giovani che non studiano e non lavorano, ad inserirsi in una spirale virtuosa che li porti a trovare il proprio futuro. Per ora, però, sembra mancare proprio la spinta iniziale.

Lo denuncia anche Rosario Rasizza, ad di Openjobmetis, agenzia per il lavoro con sede a Gallarate: «Sull’insuccesso del provvedimento ci sono ampi dati riportati sullo stesso sito del Ministero del Lavoro che ancora una volta ha pensato che il problema lavoro in Italia fosse di forma più che di sostanza – dice Rasizza – perché se è vero, per usare la stessa metafora di Tiraboschi, che i giovani sono stati messi in fila davanti ad una porta ancora chiusa, è vero anche che gli imprenditori non hanno ancora ricevuto una telefonata». Non è ancora stato definito, cioè, un percorso per i piani di inserimento di nuovo personale: le offerte possono essere pubblicate, ma una volta fatto questo non c’è ancora un modo per far incontrare domanda e offerta di lavoro.

Il matching, a questo punto, «lo facciamo noi delle agenzie per il lavoro – continua Rasizza – perché non sopravviviamo se non lo sostanziamo in tempi brevi. Non possiamo permetterci di stare seduti alla scrivania ad aspettare che le aziende ci chiamino per dirci “ho bisogno di”, perché abbiamo il parco auto della forza commerciale da gestire. A differenza degli enti pubblici». Un aspetto da toccare, conclude l’ad di Openjobmetis, è sempre quello del costo del lavoro: «Torno a chiedere alle istituzioni: il lavoro è forse un lusso? Allora perché è tassato come tale?»

Anche il portale che avrebbe dovuto essere la soluzione a tutti i problemi, quindi, si sta rivelando una soluzione «all’italiana»: dove il pubblico ha tempi lenti, deve pensare il privato a dare concretezza.

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