Quel pasticciaccio brutto del Tfr in busta «Caro Renzi, noi i soldi non li abbiamo»

«Quei soldi non ci sono più, glielo posso assicurare, nessuno li ha accantonati».

Così ti risponde un artigiano quando gli chiedi cosa ne pensi dell’idea di Renzi del Tfr in busta paga. L’ipotesi piacerà a un industriale come Marchionne, che ha detto «costi quel che costi, si deve fare».

Ma qui, tra i capannoni dei piccoli imprenditori, non c’è nemmeno il modo di prendere in considerazione l’idea.

A Bisuschio c’è l’autofficina di . Con lui lavorano dieci dipendenti e anche se le cose vanno in controtendenza – «per fortuna ripariamo e non vendiamo soltanto, altrimenti non riusciremmo a stare a galla» – definirebbe la questione sul Trattamento di fine rapporto «un pasticcio»: «Fanno in fretta a dire che le banche ci daranno una mano», spiega, «quando invece lo Stato non capisce che le banche i soldi li danno solo a chi ce li ha».

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha già messo le mani avanti: gli istituti di credito potrebbero utilizzare i fondi della Bce destinati alle Pmi per coprire questi trasferimenti.

Ma le cose, nella sostanza, non cambierebbero di molto per chi ha un’azienda.

Per Dall’Oglio «bisogna ancora vederci chiaro, mi sembra siano stati fatti solo degli annunci confusi, noi piccoli imprenditori non possiamo permetterci di pagare tassi di interesse fino all’8 per cento per dare oggi in busta ai nostri dipendenti soldi che altrimenti ci sarebbero costati molto meno». «Ci piacerebbe che i nostri collaboratori guadagnassero di più, certo», conclude, «ma se ci costano tremila euro e ne possono portare a casa soltanto 1.300, lei capisce: il problema è il cuneo fiscale, altro che Tfr».

A Fagnano Olona, , 13 dipendenti e un’officina meccanica alla seconda generazione da portare sulle spalle a 42 anni, non la pensa molto diversamente, anzi.

«C’è anche una questione sociale, dal punto di vista di chi lavora», dice: «Chi fa fatica ad arrivare a fine mese, nel momento in cui riceverà quei soldi li spenderà subito. Ma se dovesse venir licenziato non avrà un “materasso” a ripararlo fino al nuovo posto di lavoro».

Per questo imprenditore «quella sul Tfr è solo una mossa del Governo per incassare più soldi, perché ne avrà certamente un ritorno in termini di tasse. I soldi arriveranno anche prima, ma con oneri maggiori».

Così vivono le proposte che piovono da Roma gli artigiani del nostro territorio. Anche se il lavoro non va male, chiedono di poter lavorare senza altre gabelle.

Puricelli, ad esempio, racconta che «il lavoro c’è, anche se l’orizzonte temporale che ti permette di avere tranquillità da due anni a questa parte è corto, cortissimo: ogni mese si riparte, con l’entusiasmo e la passione».

Non c’è solo la proposta del Tfr, a far penare gli imprenditori. Franco Orsi, presidente di Cna, dal suo studio di grafica-pubblicitaria, spiega che le difficoltà ora arrivano anche sul fronte della cassa in deroga: «All’orizzonte c’è nuova burocrazia, ancora». In pratica, Ministero e Inps imporrebbero alle Regioni un controllo preventivo sui decreti di autorizzazione delle domande di Cassa.

In altre parole, la sospensione dei lavoratori non potrebbe più iniziare, come fino a d oggi è stato, dal giorno dell’accordo sindacale, ma da quello del Decreto autorizzativo, che non potrà essere emesso se prima l’Inps non avrà verificato che ci sia la copertura economica.

«Per noi artigiani la cassa è un aiuto fondamentale», dice Orsi, che spiega come nella nostra provincia la si utilizzi più che in altre province lombarde.

«Basta mettere in croce le aziende», chiede il presidente dell’associazione artigiana, «le assurdità, in un momento difficile come questo, è meglio lasciarle da parte».

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