La curva è squalificata e il razzismo trasloca

L’editoriale del direttore Francesco Caielli

L’Italia è quel Paese in cui se dalla curva di uno stadio partono cori razzisti, ad essere squalificata è la curva stessa. Intesa come struttura: come se fossero i gradoni di cemento a ululare contro i giocatori di colore, come se fossero i seggiolini di plastica ad augurarsi una pronta eruzione del Vesuvio. No, non è uno scherzo: è successo più o meno questo. Gli ultras della Lazio, durante la partita con il Sassuolo di un paio di settimane fa, hanno bersagliato i giocatori Adjapong e Duncan con i loro cori d’elevato spessore intellettuale. Il pugno duro del giudice sportivo non si è fatto attendere: due turni di squalifica alla curva biancoceleste. Alla curva.

Già, perché quelli che la curva la occupano (i tifosi, gli autori dei cori razzisti) domenica scorsa erano tranquillamente allo stadio: non in curva nord (squalificata, perché razzista), bensì in curva sud (solitamente occupata dai colleghi romanisti). Peccato che pure la curva sud si sia resa protagonista di beceri atti di razzismo: adesivi con scritte antisemite, fotomontaggi del volto di Anna Frank in maglia giallorossa. E ora? Probabilmente, verranno squalificati per un paio di giornate i cessi dell’Olimpico: pare che i tifosi avessero nascosto lì la loro paccottaglia antisemita. Con buona pace di chi dovrà andare a fare pipì.