L’omicida di Gavirate in carcere “Non riesco neanche a piangere”

GAVIRATE Il 69enne Mario Camboni covava dentro di sé un rancore sordo e feroce. Si sentiva vittima di un’ingiustizia. Era stato messo alla porta, lo scorso 27 dicembre, proprio dalle persone che diceva di amare di più: la moglie Maria Irene Zuretti e i figli Alessandra, Federico e Cesare. Tutti i suoi tentativi di tornare a casa erano falliti. E di ciò accusava la moglie, colpevole a suo dire di rifiutare a priori qualsiasi dialogo. Ma accusava anche i figli: era convinto che gli avessero voltato le spalle e che,

invece di lavorare per la riunificazione della famiglia, parteggiassero apertamente per la madre. Non è escluso che fosse davvero così. Da quanto risulta agli investigatori, Camboni picchiava la moglie. E ciò avveniva da anni, anche se non erano mai state sporte denunce contro di lui. I figli, allontanandolo, avrebbero solo cercato di evitare che la situazione dentro casa degenerasse ulteriormente.
Interrogato ieri dal giudice per le indagini preliminari Cristina Marzagalli, Camboni (che è assistito dall’avvocato Maria Portalupi) ha però negato la circostanza. Ha ammesso di aver strattonato la moglie a dicembre: ma solo perchè lei non ne voleva sapere di tentare di rimettere insieme i cocci della loro relazione.
Il fiele accumulato è esploso, all’improvviso, nella sera di Pasqua: quando Camboni, afferrato un coltello da cucina con una lama lunga 30 centimetri, ha ucciso Alessandra, 32 anni, e ha ferito gravemente Federico, 34 anni. I due erano andati a trovarlo nel residence Le Arcate, di Gavirate, dove l’ex maresciallo della Finanza viveva da quando era stato scacciato. Con sè avevano portato una colomba pasquale. Ma anche 5mila euro in contanti e una serie di documenti. La famiglia di Camboni è piuttosto benestante (lo stesso ex militare gode di una pensione di circa 2mila euro al mese). Ha diversi interessi immobiliari. E per gestirli, c’è bisogno della firma congiunta di marito e moglie. L’ipotesi è che i soldi servissero per pagare il residence, e che i documenti riguardassero proprietà in comune con la moglie. Non è escluso, dunque, che a innescare una bomba che era già in procinto di scoppiare ci possano essere state anche divergenze in ambito economico.
Sentito poche ore dopo l’omicidio, Camboni aveva raccontato al sostituto procuratore Luca Petrucci di aver sì afferrato il coltello, ma non per fare del male ai figli; al contrario, voleva pugnalarsi da solo in segno di disperazione. Poi aveva proseguito dicendo di non ricordare più nulla fino a quando, vagando per i corridoi del residence, bussava agli altri appartamenti per chiedere aiuto (in questo girovagare, Camboni si chiuse da solo fuori dalla porta). Ma questa versione fa a pugni con quanto narrato da Federico: il padre avrebbe brandito il coltello e si sarebbe subito scagliato contro Alessandra.
Davanti al gip, Camboni ieri ha però cambiato parzialmente versione: ha detto di avere un blackout in testa che inizia con l’arrivo dei figli e che termina con il suo vagabondare nel residence.
L’autopsia sul corpo di Alessandra verrà effettuata giovedì mattina. Federico è stato operato al braccio lesionato e al torace: un fendente gli ha lesionato parzialmente un polmone e il fegato. Ma non è già più in rianimazione: se la caverà. Lui però era convinto che sarebbe morto. Scappando dall’alloggio del padre, e lasciando dietro di sè una lunga scia di sangue, prima di stramazzare aveva trovato la forza di telefonare alla madre. «Mamma, papà ha accoltellato Alessandra. Forse è morta. E anche io sto morendo…».
Camboni si trova invece rinchiuso nel carcere dei Miogni (anche se è probabile che venga trasferito in un’altra struttura). Appare tranquillo, ma sotto choc, ancora incredulo della tragedia da lui stesso provocata. «Non riesco neanche a piangere», avrebbe confidato agli investigatori.

e.romano

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