Doping, tanti ragazzini in coda dal “farmacista”

Al telefono, con il “farmacista”, la chiamavano «malizia». E c’è da scommettere che non si riferivano a una delle definizioni che il dizionario della lingua italiana offre di malizia, ovvero una «allusione erotica mascherata da apparente ingenuità».

«Mi devi spiegare qualche malizia», chiosava parlando con Posca – il sedicente preparatore comasco finito in cella nella maxi inchiesta su un giro di sostanze dopanti nello sport dilettantesco – un ciclista Udace. Ignaro sia di essere ascoltato sia del significato letterale di quel termine, usato con tanta vaga leggerezza. Malizia, ovvero «la conoscenza e l’esperienza di ciò che è male». In una parola: doping. Fa scena muta, davanti al giudice che lo ha interrogato ieri in carcere, Davide Ardigo Alfred Posca. Si è avvalso della facoltà di non rispondere e riceverà presto la visita del procuratore Raffaele Guariniello, l’uomo con affollatissimo studio professionale a Carugo. Oltre a quella porta in legno, griffato con la targhetta “Sport promotion”, di persone ne sono passate tante negli ultimi mesi. E molti portavano con sè i figli.

Ascoltiamolo, il dottor Posca, parlare con un indagato, un 49enne di Figino Serenza: «È stato qui il tuo amico a fare il test al figlio». Un altro padre. Un altro ragazzino. Proprio come papà-epo, il brianzolo -genitore di un giovanissimo ciclista – finito sotto accusa perché sospettato di aver fatto incetta di medicinali vietati. O come mamma-doping, la donna erbese accusata di ricettazione per aver prelevato fiale proibite, nell’aprile scorso, direttamente dal “farmacista” comasco.

Posca temeva di essere sotto sorveglianza. Usava preoccupazioni quando parlava al telefono. E aveva addirittura convinto la vicina di casa, in via Tazzoli 9 a Carugo, a informarlo se succedeva qualcosa di strano. Lei non aveva mancato di contattarlo immediatamente quando, mesi prima del blitz della Procura di Torino, i carabinieri di Mariano Comense erano passati a cercarlo.

Non solo conversazioni telefoniche. Ma anche mail, sono finite negli atti dell’inchiesta dei magistrati di Torino. Mail di cicloamatori che si lamentavano perché «non vado», di genitori che chiedevano un consiglio, di direttori sportivi che pretendevano un aiuto, di “atleti” della domenica che volevano un appuntamento. «Spero di passare professionista presto» confidava al farmacista uno che sui pedali era convinto di andar forte.
Il procuratore torinese Raffaele Guariniello chiarisce: «L’inchiesta non è chiusa». I Nas dovranno anche comprendere come e se intervenire a tutela dei baby atleti che, si sospetta, siano stati dopati da genitori invasati. Allo studio anche una misura interdittiva dell’attività sportiva.

e.besoli

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