Caramelle e carbone nella calza dei varesini

L’editoriale del nostro Francesco Caielli

Noi alla Befana ci crediamo, eccome. Sarà che siamo stati tirati su in un certo modo, che conosciamo a memoria “La Freccia Azzurra” di Gianni Rodari, che il cammello di pasta sfoglia non è mai mancato dalle nostre colazioni del 6 gennaio (il nonno rubava sempre la testa), che le calze appese al camino si sono sempre riempite (un mandarino sotto a far peso, qualche manciata di caramelle, un altro mandarino a chiudere e tener fermo il tutto).

In tempi in cui le tradizioni vengono riscoperte e tirate fuori per essere sbandierate ad uso e consumo della polemica quotidiana, ci piace parlare della Befana per quello che è. Semplicemente. Perché se la magia di Babbo Natale prima o dopo svanisce, quella della Befana resta per sempre: non c’è bisogno di essere bambini per credere alla sua favola. Noi, la nostra calza l’abbiamo appesa come sempre: assaporando il piacere del rito della sua scoperta. E allora, giochiamo. E svuotiamo l’ideale calza appesa fuori dalla porta della nostra amata Varese: per scoprire se la vecchina è passata puntuale anche quest’anno, per capire se siamo stati bravi oppure no. Caramelle o carbone?

Caramelle e carbone per la politica cittadina, che si appresta a vivere il rito delle elezioni e ad accogliere un nuovo sindaco. Perché è bello e appassionante farsi coinvolgere dalle delicate dinamiche che portano alla scelta di questo o quel candidato, perché ci siamo fatti prendere dal vorticoso tormentone portato dalle primarie del Pd, perché siamo curiosi di sapere se alla fine il centrodestra sarà Malerba. Però allo stesso tempo ci sono piaciute meno tutte le manovre, le ripicche, i messaggi, le coltellate alle spalle che hanno caratterizzato queste ultime settimane: perché ci piace pensare che l’obiettivo finale non debba essere mai la vittoria a tutti i costi, ma sempre e solo il bene della nostra città. Caramelle e carbone per il nostro verde. Perché la nostra resta una città bellissima, capace di regalare scenari che levano il fiato e spicchi di natura che sembrano disegnati, angoli di poesia. E allora ci arrabbiamo ancora di più nel vedere che nel nostro lago si scarica ancora lo schifo, che all’alba del 2016 ci sia ancora qualcuno che non ha capito come il rispetto dell’ambiente sia l’imperativo sul quale costruire il futuro, attorno al quale prendere ogni decisione.

Caramelle e carbone per il calcio, perché sei mesi meravigliosi (da luglio a dicembre) non hanno cancellato sei mesi devastanti (da gennaio a giugno). Il Varese di oggi è perfetto, per i valori che si sta portando dietro e per le persone che li trasmettono, per la passione con cui ha contagiato tutta la città. Ma l’amaro in bocca per quello che siamo stati costretti a mandare giù c’è ancora, eccome se c’è: perché non esiste cosa peggiore del vedere morire ciò che ami mentre attorno a te la gente applaude. Caramelle e carbone per la Pallacanestro Varese: perché è vero, bisogna essere eternamente grati a chi tiene in vita il simbolo della città in tempi in cui nulla è facile e niente è scontato. Ma allo stesso tempo non riusciamo a stare in silenzio quando vediamo qualcosa che non va, quando ci accorgiamo che l’attaccamento a un ruolo o una poltrona diventa più forte dell’amore per la società: che non è di chi la dirige, ma dei varesini. E poi caramelle, solo caramelle, per tutti i bambini di Varese: tutti. Perché sono il colore della nostra città. E poi carbone, solo carbone. Per chi non ha ancora imparato ad arrabbiarsi senza odiare, a camminare senza sorridere, a salutare senza abbracciare.