Il burocrate perde il Pil ma non il vizio

Il post-it di Marco Dal Fior

Ci sono numeri e numeri. Alcuni, seppure indubitabilmente veritieri, ci appaiono lontani e siderali. L’altro ieri, ad esempio, abbiamo appreso dell’aumento del Pil italiano. Il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,2%, proprio come gli Usa di Donald Trump. Rispetto allo scorso anno – gioiscono gli esperti di economia – l’aumento totale è dello 0,8%. So bene cosa significa Pil e non mi sfugge come l’incremento di questo indicatore stia a significare che come Paese abbiamo fatto qualche passetto in avanti. Ma fino a quando gli aumenti non li vedo in busta paga, queste cifre mi sembrano molto aride. Il mio salumiere vuol essere pagato in euro, il Pil non sa nemmeno cosa sia.

Sono altre le cifre che mi turbano. Ad esempio quelle che ha esposto nei giorni scorsi il presidente Davide Galli nella sua lucida e puntuale radiografia dello stato di salute dell’economia varesina all’assemblea annuale di Confartigianato. Ha raccontato che per acquistare un tornio per la sua azienda ha dovuto produrre una documentazione di 40 pagine e apporre la bellezza di 72 firme in calce. Alla faccia della nuova economia, della semplificazione delle regole e del “facciamo ripartire l’Italia”. Il burocrate perde il Pil, ma non il vizio.