«La Guidacci è dramma e allegoria»

Fu un’importante esponente poetico femminile del Novecento. Di lei scrissero Luzi e Chiara

Tra le voci poetiche femminili della corrente poetica, radicata nel nostro territorio e destinata a suscitare una grande eco nel quadro della poesia del Novecento, nota con il nome di “Linea Lombarda” trova spazio anche (Firenze, 1921 – Roma, 1992).

Nel prezioso volume “Gli anni di Quarta Generazione. Esperienze vitali della poesia”, e nella ripubblicazione anastatica di “Quarta generazione La giovane poesia (1945 -1954)” – volumi curati dalla studiosa e critica varesina , responsabile degli archivi letterari del Comune di Varese – pubblicati dalla Nuova Editrice Magenta, la poetessa fiorentina è presente insieme a , e alla varesina , di cui recentemente è stato pubblicato “Il fuoco nascosto”, che contiene la raccolta poetica “Ombre cinesi” e il romanzo inedito “Torre d’avorio”.

Guidacci era figlia unica di un noto avvocato fiorentino, i e di . Nella città simbolo della poesia dantesca, la Guidacci compì i suoi studi fino a laurearsi con una tesi su , seguita dal professor . Dopo la laurea, la poetessa si specializzò in Letteratura inglese e americana, e, con la fine del secondo conflitto mondiale, iniziò la carriera di insegnante prima di lettere classiche poi di lingua e letteratura inglese nelle scuole di Prato, Firenze, Bologna e Roma.

Nell’ottobre 1949, si sposò con il compagno di studi, Luca Pinna, da cui ebbe tre figli, Lorenzo, Antonio ed Elisa. La poesia affiorò presto nella sua vita, in virtù della sua precoce sofferenza e della frequentazione con intellettuali e poeti come , e suo cugino . Tale vocazione poetica trovò sfogo nella prima raccolta poetica, pubblivata da Vallecchi nel 1946, “La sabbia e l’angelo”. “Scrivevo senza sforzo: – dichiarò la poetessa nell’antologia di Spagnoletti “Poesia italiana contemporanea” – tutto era infatti già stato pagato sul piano esistenziale. Nacque così “La sabbia e l’angelo” un libro per il quale, qualunque siano i suoi difetti ed errori, avrò sempre la giustificazione suprema dell’istinto di conservazione e della “legittima difesa”: non scriverlo sarebbe equivalso per me, letteralmente a morire”.

La poetessa, rimasta orfana in giovane età, così rivelava la prematurità del suo dolore: «Avevo conosciuto prima lo sfiorire che il fiorire, avevo veduto prima come si muore che come si vive, e nella vita ero entrata, per così dire, a ritroso, senza poter staccare lo sguardo dal termine che ci attende sulla terra, il disfacimento della carne».

Nel 1948 Guidacci vinse il premio Le Grazie, per alcune poesie inedite, un premio ex aequo con .

Per la successiva sua raccolta poetica, “Morte del riccio: un oratorio”, edito da Vallecchi, nel 1954, fu recensita da sul “Giornale del Popolo” con l’articolo dal titolo evocativo, “Un “caso” della poesia religiosa contemporanea: Margherita Guidacci”. Chiara interpreta in una particolare chiave mistica la sua poesia: «La Guidacci dunque inserisce il dramma sacro e la sua allegoria nell’attualità della vita, facendolo agire come rappresentazione e interpretazione di un momento storico, di una situazione morale; e pertanto sottraendolo ad una pura dogmatica, propria dei poeti religiosi».

Il grande poeta , ripensando al momento del primo incontro con la poetessa, associava la sua figura a «un’impressione di luce festosa, una letizia mentale, accompagnata però da un senso luttuoso. Qualcosa che non potrei definire altrimenti che con questa parola la quale sembra molto grave, insomma la segnava. Segnava delle ombre in lei e segnava nel profondo chi ascoltava».

Numerose furono le sue raccolte poetiche, che gli valsero importanti riconscimenti, tra cui “Giorno dei santi”, “Paglia e polvere”, “Neurosuite”, “Inno alla gioia”, “Il buio e lo splendore”. Trasferitasi a Roma, al fianco del marito, continuò la sua attività letteraria, collaborando con i quotidiani, “Il Popolo”, “l’Osservatore Romano” e con le riviste letterarie “La Fiera Letteraria”, “Letteratura”, “Comunità”, “Lettere e Arti”, “Botteghe Oscure”, mentre intensa si faceva la sua attività di traduttrice dal francese e dall’inglese in particolare delle opere di e di e di moltissimi autori classici della letteratura.

Margherita Guidacci si spense a Roma, il 19 giugno 1992, ma il suo testamento spirituale era già scritto nei versi della poesia “All’ipotetico lettore”: «Ho messo la mia anima fra le tue mani./Curvale a nido».