Solbiate Arno, il Chinetti e un mondo ideale

L’editoriale della nostra Federica Artina

Solbiate Arno è un piccolo comune della nostra provincia, ma solo nei numeri. Solbiate Arno è un comune come tanti del nostro territorio, un esempio di quello che anche le realtà numericamente meno significative possono offrire. Solbiate Arno la conoscono un po’ tutti, magari soltanto per il cartello dell’uscita dell’autostrada. Meno, forse, per quel gioiellino che è lo stadio Felice Chinetti. Uno stadio che ieri sembrava ancora più bello, così pieno e colorato quasi a fare dispetto a una prestazione a tratti sbiadita del Varese.

Uno stadio brulicante, dove le vecchie guardie locali – che nel dubbio una partita di pallone preferiscono non perdersela – ieri strabuzzavano gli occhi dandosi di gomito: «Ma l’hai mai visto il Chinetti così pieno?». Sì, l’abbiamo visto. Ma solo quando il Milan ci gioca la prima uscita stagionale in estate. O quando negli anni passati fecero tappa partite del cuore con artisti famosi al seguito oppure la nazionale di Arrigo Sacchi di stanza a Milanello, che vi fece una sgambata aperta al pubblico prima di partire per gli Usa nel 1994. Invece ieri si giocava “solo” una partita del campionato di Eccellenza, e il Chinetti scoppiava. Anche tutta la zona intorno a causa della sosta selvaggia, in verità. Uno spettacolo irritante per la placida Solbiate, ma ahinoi inevitabile: l’unica pecca di quello stadio è la carenza di posteggi, non certo premeditata ma pur sempre reale. Eppure pomeriggi come quello di ieri sono quelle situazioni che ti fanno far pace con il mondo del calcio e con il mondo in generale. Coppie giovani con i passeggini al seguito, bimbi che scorrazzano su è giù lungo il campo, passione che arde attaccata alle reti, erba spettacolare e profumo di bosco sotto le piante da cui si gode lo spettacolo più bello. Sì, se questo sport ha ancora una speranza sono i posti unici e magici come il Chinetti, come Solbiate Arno. Dove i giorni di festa si passano in compagnia, in luoghi dove si sa che si incontra sempre qualcuno, dove può capitare di battibeccare per lunghi minuti col portiere avversario che però, a fine partita, sa anche chiederti scusa per un insulto di troppo scappato in un momento di trance agonistica (chapeau, Lorenzo Mauri). Non ce ne voglia il nostro Franco Ossola, per carità. I suoi gradoni scalfiti dalla storia e dallo sferzante e proverbiale vento di Masnago non li cambieremmo nemmeno con uno Sky box di San Siro, ma in questo momento storico in cui, giocoforza, il pubblico biancorosso resta entro certi limiti numerici (sebbene stratosferici, considerando la categoria), l’atmosfera che si respirava ieri al Chinetti era qualcosa di unico. Tanto che più di qualcuno, al fischio finale, ha buttato lì: «Ma perché non giocare sempre qui, che porta anche bene?». Chissà. Di certo quei distinti palpitanti di sciarpe, bandiere e cori riempivano gli occhi. E hanno fatto stringere più di un cuore a ripensare alla vecchia, cara, indimenticata e indimenticabile Solbiatese e ai suoi fasti. I piccoli che sanno essere grandi. Con umiltà, con costanza e con tanta determinazione. Con tanta fame di farcela. Che si parli di un campo da gioco o della quotidiana amministrazione poco cambia: Varese, il Varese Calcio e il Varesotto in generale sono fatti e devono essere fatti di questo. E non devono mai dimenticarlo. Solbiate Arno non sarà mai il centro del mondo. Ma per qualche ora, in un pomeriggio di festa, è stato il centro di un mondo ideale. Scusate se è poco.