«Chi sarebbe il rassegnato?»

Spunti di vista - Incontri e racconti del campione non vedente di sci nautico Daniele Cassioli

L’ho pensato e scritto quando Marchisio diede del «non vedente» ad un telecronista, lo penso e lo scrivo di Annalisa Minetti per l’intervista che ha rilasciato nel corso di una trasmissione televisiva. Senza demonizzare ma solo perché, per la visibilità che ha, un personaggio pubblico deve sapere cosa dice e come.
Prima di ogni altra considerazione Annalisa ha tutta la mia stima per quanto ha saputo conquistarsi e per come sa parlare in pubblico, lanciando messaggi positivi e trasmettendo la sua voglia di vivere.

Lei, come me e tanti altri, è una persona felice, padrona della propria vita, consapevole di quanto un limite possa diventare un’opportunità. Cosa che vale per chiunque: ciechi, sordi, paraplegici e normodotati. Quello che invece mi ha sconcertato della sua intervista è ricondurre il tutto solo all’aspetto medico. Lo dico da laureato in 110 e lode in fisioterapia che tutti giorni lavora con i medici, tratta pazienti e parla di medicinali. In questo caso mi sento di escludere l’aspetto medico. Io parlerei solo di come si deve affrontare un dato di fatto come la cecità. Di come si può vivere ugualmente la vita, di come superare un gradino, praticare uno sport, imparare uno schema motorio senza vederlo fare e senza poterlo rivedere in un video per correggersi. In questa occasione, il messaggio di Annalisa che mi è arrivato è stato solo un continuo richiamo alla chirurgia e alla medicina, giudicando «rassegnato» o «fallito» chi non si informa sulle cure o non percorre la via chirurgica sperando in un decimo di vista in più. Su questo aspetto non sono assolutamente d’accordo. Io e i miei genitori, come ogni altro non vedente, abbiamo girato tanto incontrando medici e luminari ma se devo fissare il momento in cui ho iniziato una vita normale è stato quando all’interminabile giro in cerca di speranze ci siamo detti: basta! Le risposte che cercavo le ho trovate entrando in una scuola, in una palestra, in una piscina, imparando a sciare prima sulla neve e poi sull’acqua. Mi sono fidanzato e mi sono lasciato. Mi sono fatto amici e nemici. Tutto questo da cieco. Senza mai sentirmi un fallito o passivo rispetto alla mia condizione solo perché non vado a caccia di speranze e soluzioni su riviste specialistiche o piattaforme telematiche. Ammesso che esistano soluzioni, ma se domani, prendendo una pastiglia potessi vedere, che uomo sarei? Cosa mi resterebbe di tutte le mie conquiste da cieco? 
Si perché quando penso e dico che il mio mondo è quello in cui vivo da quando sono nato non lo dico per rassegnazione ma perché vivo una vita felice. Annalisa rimbalza anche il bastone bianco e i cani guida. Io il bastone lo uso raramente ma grazie al bastone ho girato il mondo e rimorchiato ragazze. E come me molti altri che con il bastone o il cane guida vivono in autonomia e serenità. Con il bastone come con il cane guida, sotto braccio ad un amico come alla fidanzata. Il mio presentarmi come persona e non come non vedente comprende tutto questo. Mi è capitato e sempre più mi capita di incontrare genitori con figli non vedenti.
A questi papà e mamma non parlo mai di cure, operazioni o medicine ma piuttosto di educazione, valori, sport, scuola, insomma, di ogni opportunità e certezze. Ancora oggi ci sono bambini ciechi che non vanno in gita con i compagni di scuola e ragazzi che non sanno di poter utilizzare un computer o uno smartphone. Io convoglierei ogni messaggio in questa direzione per scardinare la disinformazione e uno dopo l’altro i limiti e le paure, ricercando la forza in se stessi e non inseguendo ostinatamente un medico o un chirurgo.