Bebe Vio ci colpisce anche senza mani

Non riusciamo a non essere di parte, quando parliamo di Bebe Vio. Non riusciamo a raccontarla senza sentirci un po’ lei, senza sorriderle insieme, tenendo al loro posto quelle lacrime che cercano di scappare via illuminando gli occhi. Chi è Bebe Vio? Tante cose insieme, tante persone insieme, tante storie insieme: e chiuderla dentro una sola definizione sarebbe riduttivo e ingiusto.

Bebe è una ragazza che all’età di 11 anni ha perso gambe e braccia per colpa di una roba brutta e stronza, una meningite di quelle che uccidono e che quella volta aveva deciso di prendersela coi sogni di una bambina. Bebe è un’atleta che, giusto l’altro giorno, ha vinto la medaglia d’oro ai campionati europei di scherma: su a Strasburgo, dove schermidori “normo” e “para” tirano insieme e si fanno il tifo gli uni con gli altri (e noi quando pensiamo allo sport per disabili,

pensiamo a questa roba qui). Bebe è una famiglia di quelle speciali, che ognuno avrebbe il diritto di incontrare e conoscere: mamma Teresa che non si capisce se sia più bella dentro o fuori, papà Ruggero che è uno di quegli uomini capaci di buttare giù le montagne e farla apparire come una cosa normale. Bebe è un gesto che ne nasconde altri mille: quella foto sul podio, con la sua mano ad asciugarsi una lacrima, e anche se quella mano è una protesi di plastica noi sappiamo che lì dentro ci corre sangue vero e ci passano emozioni. Bebe è poesia e pelle d’oca, tutte dentro una frase che ci disse qualche tempo fa: «Tra la scherma in piedi e quella in carrozzina preferisco la seconda: perché se sei in piedi quando l’avversario ti attacca puoi indietreggiare, sulla carrozzina invece lo devi affrontare». Bebe è la forza di un suo abbraccio, la delicatezza con cui accarezza un bambino, la caparbietà con cui si taglia la pizza da sola senza farsi aiutare da nessuno. Bebe è una storia da raccontare alle proprie figlie, un giorno, quando saranno grandi: per far capire quanta bellezza ci sia dietro alla diversità, quanto sia importante andare oltre a un pezzo di corpo che manca. Bebe è un po’ nostra: varesina d’adozione, amica de La Provincia, tifosa della Cimberio e del Varese, una di casa.

Insomma: è stato facile raccontare chi è Bebe, facile è bello. Poi si potrebbe anche dire chi non è, Bebe Vio. Bebe non è un’icona, un manifesto, un simbolo, una stellina: perché la naturalezza con cui fa qualsiasi cosa cozza con le luci della ribalta che in troppi continuano a volerle puntare addosso e che lei ogni volta riesce a schivare con una risata. Bebe non è un esempio, del tipo “imparate da lei come si superano le difficoltà”: stronzate, perché nessuno si può permettere di immaginare quello che hanno passato lei e la sua famiglia, altro che esempio.

E adesso? Adesso lasciateci le ultime righe per qualcosa di personale, una volta tanto: per il nostro messaggio a Bebe. Complimenti e grazie, piccola pazza. Complimenti per quell’oro e per tutti quelli che seguiranno, che con quel fioretto in mano sei una forza della natura. Grazie per quelle risate e quella voglia di prenderti in giro: a noi, quando avevamo la tua età, queste cose sono mancate. E adesso tu stai compensando di brutto.

Francesco Caielli

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