Bruno Arrigoni merita di sentirsi dire “grazie”. Perché ha sofferto e amato Varese in silenzio

Il commento del direttore Andrea Confalonieri

Bruno Arrigoni non merita di andarsene da Varese senza che nessuno gli dedichi un pensiero in società o sui giornali (a dire la verità dovrebbero pensarci soprattutto quelli che lo chiamavano a ogni ora del giorno e della notte, salvo abbandonarlo al suo destino appena vennero a sapere che non faceva più parte dei piani societari).
Per quel senso del dovere e per quella grande dignità che Arrigoni ha dimostrato tacendo e subendo mentre restava comunque al suo posto a credere nel suo lavoro,

senza replicare o accusare chicchessia di fronte a critiche a volte giuste ma tante altre sbagliate, merita di sentirsi dire una parola rara, semplice e preziosa: grazie.
Grazie per non avere mai sputato nel piatto della Pallacanestro Varese, della città, della maglia e dell’opinione pubblica anche quando magari aveva la tentazione di farlo vedendosi incolpato e scaricato, come se tutte le colpe di tre quarti di campionato da retrocessione fossero sue.
Grazie per il silenzio, che a volte riesce ancora a battere mille parole.
Grazie per l’onestà, la semplicità, il rispetto, la delicatezza, la profondità, la presenza lieve che forse per tanti valgono meno o nulla rispetto ai risultati ma in una società come la Pallacanestro Varese, spesso usata o messa in secondo piano dai personalismi e dalle manie di onnipotenza, in realtà valgono tanto, anzi tutto perché sono un esempio per chi verrà.
Grazie perché alla vigilia delle final four europee, alla domanda di Fabio Gandini («È stata giudicata troppo in fretta la stagione di Varese? Questo risultato è una vendetta?») ha risposto da manuale e da uomo della società e non da uomo ferito o rabbioso: «Il discorso è diverso e riguarda il mercato sempre aperto. C’è chi parla di “grand hotel”, di porte girevoli e tutto un armamentario di luoghi comuni e chi come me – invece – pensa che il mercato così strutturato permetta alle società, non gratis certo, di difendere il patrimonio iniziale e di sistemare ciò che non va. Nella storia ci sono squadre che hanno perso scudetti o coppe perché non potevano sostituire un giocatore e, al contrario, formazioni che cambiando durante l’anno hanno conquistato ottimi traguardi».
È la risposta migliore che un uomo di basket avrebbe potuto dare, una risposta di cui sarebbero stati capaci pochi o forse nessuno, tranne Bruno Arrigoni. Quindi e per l’ultima volta gli diciamo soltanto: grazie.