Caja l’artigiano: «I problemi? Li risolviamo. La strada è quella giusta»

A un quarto del cammino stagionale una lunga intervista con la guida della Openjobmetis Attilio Caja. Le soddisfazioni e i rimpianti, Hollis e Wells, il mercato e le soluzioni alternative: ecco il suo compendio su Varese

È ben più di un bilancio, parola che di primo acchito riporta alla mente cifre nude e fredde con un significato estrapolabile solo dai professionisti dei conti e del diritto commerciale.
Attilio Caja spiega, si innamora delle tue virgole per farti capire che in realtà sono punti fermi, esemplifica tirando in mezzo lo sport e la vita: la sua passione per il basket, oltre che per la chiarezza del messaggio, è d’altronde letteraria più che ragionieristica.
Il risultato è un compendio filosofico sulla sua Openjobmetis, creatura con pregi e difetti, soluzioni già svelate e problemi sul tavolo, delizia di chi sa valutare l’impegno e croce di chi vorrebbe sempre sognare in grande e non accetta di svegliarsi per nessuna ragione. L’Artiglio ha una riga per tutti e un messaggio finale che riassume il suo pensiero: «Siamo sulla strada giusta».


Anche se arriva dopo la sconfitta contro Sassari, il mio bilancio personale non è diverso da quello che avrei fatto prima di scendere in campo. Ed è positivo: onestamente stiamo andando anche meglio delle aspettative, con una squadra formata da giocatori che non si conoscevano fra loro, piena di esordienti in Serie A e a consuntivo di una partenza molto impegnativa dettata dal calendario. Abbiamo trovato molto in fretta un’identità definita, rispettata e apprezzata anche dagli avversari, dai quali abbiamo percepito una considerazione che ci ha fatto piacere. Di tutto ciò va dato merito ai miei ragazzi, al loro impegno quotidiano e al loro spirito di sacrificio sul campo, nei lavori individuali, nelle sedute video e nelle riunioni: se abbiamo fatto passi più lunghi di quello che ci attendevamo è perché loro hanno dedicato più energia al raggiungimento dell’obiettivo. Una sola domenica non può cambiare il giudizio su due mesi interi.


Guardare oggi la classifica è poco indicativo ed è inutile parlarne: a 6 punti sei ottavo, a 4 sei retrocesso. Le formazioni che abbiamo già incrociato sono universalmente considerate in grado di fare un campionato di vertice e lo stanno dimostrando. Noi facciamo parte “dell’altro” campionato, lo abbiamo sempre detto, ma questo non significa che da qui in poi le vinceremo tutte: non ci sono certezze né quando giochi contro chi è più forte di te, né quando affronti chi è uguale a te. Al massimo si può parlare di probabilità: contro Pesaro avremo le stesse probabilità di vincere della squadra marchigiana, ma la partita è ancora tutta da giocare. E poi bisogna anche mettersi dall’altra parte… Guardate che laggiù sicuramente staranno pensando: “Se non vinciamo in casa contro Varese, quando vinciamo?”. Una delle due, alla fine, sbaglierà…


Il rimpianto va alle gare con Avellino e Milano, senza discussioni: quando giochi bene, devi riuscire a vincere. Le partite giocate male sono inevitabili, fisiologiche: non si può pensare di fare un percorso netto, ce ne saranno altre dopo quella di domenica scorsa. Contro l’EA7 e la Sidigas siamo stati all’altezza degli avversari, ma nel basket non ci sono gli handicap come nell’ippica o nel golf, non c’è l’uguaglianza competitiva anche se affronti chi ha speso sul mercato cinque volte quello che hai speso tu: noi abbiamo giocato bene, ma Avellino e Milano sono più forti e attrezzate di noi e quindi hanno vinto. Il rammarico, però, esiste.

Quattro modi di essere Attilio Caja: felice e soddisfatto a sinistra e al centro (insieme a capitan Ferrero) dopo Varese-Trento, pensieroso dopo Avellino, combattivo durante il derby con Cantù

Quattro modi di essere Attilio Caja: felice e soddisfatto a sinistra e al centro (insieme a capitan Ferrero) dopo Varese-Trento, pensieroso dopo Avellino, combattivo durante il derby con Cantù

Sono abituato a pensare che nello sport, se ti alleni nel modo giusto, se conduci una vita professionale con i giusti tempi di lavoro ed i giusti tempi di riposo, senza serate o cose del genere, non ci sia bisogno di grandi pause. Se invece ti alleni poco e male allora sì che hai bisogno di recuperare ogni tanto. Quindi direi che questa pausa ci lascia indifferenti: c’è, ce la prendiamo.


Le statistiche sono frutto di tante situazioni, non sempre e solo della propria bravura o meno. Per esempio, tenere percentuali non ottimali al tiro ti permette di prendere più rimbalzi offensivi, così come facendo una buona difesa gli altri avversari si trovano a faticare maggiormente per rubarti il rimbalzo. Il dato in ogni caso mi soddisfa, perché evidenzia una qualità di squadra: questo aspetto del gioco non dipende da una persona sola, ognuno porta il suo mattoncino alla causa, dietro c’è applicazione nei fondamentali, c’è il taglia fuori, c’è correttezza nel gesto tecnico. E ciò è evidenziato dal fatto che il nostro miglior rimbalzista è Cain, che non fa certo dell’atletismo il suo punto forte. E dietro di lui c’è Okoye, che non è un lungo: mi sembra un dato molto interessante.


Primo: nel calcio se una punizione la tira Pirlo è una cosa, se la tira Gattuso è un’altra… Ci sono componenti tecniche ma anche emotive. I tiri da tre, nostri e delle altre squadre, sono quasi tutti “aperti”, inutile stare a parlare troppo di tattica: riguardando la partita di domenica si vede che l’80/90% dei tiri da fuori che abbiamo preso era libero, era costruito bene, eppure abbiamo tirato con l’11%… L’aspetto emotivo pesa tantissimo: non è possibile che Avramovic e Tambone abbiano rispettivamente 1/18 ed 1/16 da oltre l’arco, non sono giocatori da queste percentuali. Sui tiri da due, diversamente, può pesare di più una responsabilità difensiva, perché c’entra la fisicità: ci sono giocatori che riescono ad esprimersi anche se subiscono un contatto ed altri che fanno più fatica.


Nel nostro sistema la difesa è imprescindibile, non possiamo giocare agli 80/90 punti perché non li abbiamo nelle mani. Perciò dobbiamo impostare ogni partita su questo aspetto, sia a livello tattico che di applicazione: è il nostro marchio e tutti i giocatori vengono considerati in primis in funzione di questo. Nel calcio giochi in undici e certe mancanze possono essere coperte, nel basket giochi cinque contro cinque e serve omogeneità: io aiuto te perché

tu hai aiutato lui e lui ha aiutato l’altro. Provo a spiegarmi. Nel basket l’attacco vince sempre sulla difesa perché è un passo avanti ed ha in mano l’iniziativa: la difesa deve rincorrere. L’aiuto crea sempre una superiorità da un’altra parte del campo: se la difesa è stata brava, l’attacco ha comunque come vantaggio un’ultima opzione e può sempre sfruttarla. Però, per ridurre l’attacco all’ultima opzione offensiva serve un sistema difensivo che funzioni, perché se la difesa al secondo step già salta è finita: gli altri hanno fatto canestro…

Hollis ha marcate caratteristiche offensive, da sfruttare quando c’è bisogno come accaduto in alcune partite. Domenica, negli undici minuti che ha trascorso sul parquet, anche in attacco non ha fatto bene, altrimenti sarebbe rimasto in campo di più. Attenzione: non abbiamo perso per colpa sua, ci mancherebbe. Però quando uno fatica in difesa ed in attacco non produce, lo tolgo. È un discorso di equilibrio, di incastri: avessi tutti scienziati difensivi, ci starebbe inserire uno che può sbagliare. Ma non è così, perché ho anche Pelle che difensivamente non è irreprensibile ed è fisiologico che sia così, perché è giovane ed è al secondo anno di “scuola” qui. Ma io non posso avere troppi buchi dietro, non posso permettermi troppe incognite da coprire in retroguardia: faccio fatica a permettermene una, figuriamoci due. Non reggerebbe più il sistema.


In allenamento dimostra di darsi da fare e di crescere sempre, ed è una cosa che già avevo notato l’anno scorso. Ma, soprattutto, lui è bravo ad ascoltare e questo lo sta aiutando molto, perché noi puntiamo parecchio sul miglioramento individuale. Il suo inizio di stagione non è stato positivo, dopodiché a metà precampionato si è dato da fare ed è cresciuto: meritava un’opportunità e la squadra gliela poteva dare. La cosa positiva per Norvel poi è avere un compagno di ruolo come Cain: a lui ho detto di ringraziarlo, perché Tyler vive la competizione in senso positivo e, anche partendo dalla panchina, fa la sua partita ed è sempre utile. Aiuta me ed aiuta la squadra: difensivamente fa pochissimi errori e ti permette pure l’accoppiata con Hollis. Queste sono le ragioni per le quali ho messo Pelle in quintetto base. Ed è andata bene con Trento, partita che è arrivata dopo la tranquillità del successo con Pistoia, ma poteva anche essere un rischio: domenica scorsa, per esempio, ha iniziato malissimo e l’ho dovuto togliere subito. Ci sono momenti della stagione in cui ti puoi permettere di rischiare e altre no. Poi c’è un’altra ragione per la quale ho preso determinate scelte…


Avere un Hollis a disposizione di rincalzo, così come un Avramovic, significa avere una risorsa per cambiare inerzia alla partite. Ferrero, che è un giocatore molto più lineare, dalla panchina non riuscirebbe a darmi un vero cambio di ritmo.

No, assolutamente. Il discorso fatto per Pelle vale per tutti, anche per Hollis: Damian si sta impegnando per migliorare, se continuerà a farlo arriverà sicuramente la sua occasione.

Certo che la squadra può aiutarlo, semplicemente facendo canestro. Tante volte i giocatori sono aiutati dalla squadra in cui giocano: agli atleti che alleno dico sempre di essere i più grandi tifosi dei propri compagni, perché se loro giocano bene ti permettono di far passare in secondo piano anche una tua brutta prestazione. Sento sempre parlare di Wells e mai di Waller: perché? Contro Pistoia hanno fatto molto bene Avra e Wells, mentre Antabia ha giocato male. Uguale contro Trento. Eppure non si parla mai di Waller, che domenica scorsa ha giocato male ancora una volta. La verità è che nelle due partite in cui Wells ha fatto bene, ha permesso i passaggi a vuoto del suo compagno di reparto. Per rispondere alla domanda, quindi, dico sì: la squadra può aiutare Cameron, coprendo i suoi vuoti. Lui di suo è un po’ introverso e ha un modo tutto suo di gestire l’aspetto emotivo, ma è un ragazzo che ci tiene e lo si vede nel quotidiano. E non bisogna mai sottovalutare il discorso dell’inserimento nel campionato, perché non è uguale per tutti. Lo sapete, a me piace fare esempi: perché un negozio avviato ha un costo di licenza ed uno non avviato ne ha un altro? Un negozio già avviato ha delle certezze su cui puntare, l’altro è un punto di domanda e costa inevitabilmente di meno.


Nella vita si può rimediare a tutto tranne che ad una cosa: la morte. Poi c’è chi si arrende alla prima difficoltà e chi invece prima di darla per persa ci prova, ci riprova in un modo, cerca una strada alternativa e poi ci riprova in un altro modo ancora. Questo significa crederci. Io sono uno che non si arrende alla prima difficoltà: l’anno scorso ci mancava un giocatore da mettere in ala forte e abbiamo inventato Ferrero numero 4. Faccio un altro esempio: c’è stato il periodo del benessere eccessivo e del consumismo. Rompevi una cosa e la ricompravi subito, mica la aggiustavi. I lavori degli artigiani così erano scomparsi ma ora stanno tornando in auge, perché ora si pensa di nuovo a riparare. È la nostra storia. Vi dico poi che io ho una gran fortuna nel lavorare qui: ho la possibilità di confrontarmi giornalmente con Claudio Coldebella e Toto Bulgheroni, sempre presenti al mio fianco e sempre disponibili a cercare con me le soluzioni per fare un passo avanti.


Fa parte delle logiche del mercato ritrovarlo lì: noi abbiamo cercato Maynor in un momento in cui le nostre volontà e le sue non erano compatibili. A lui va eterna gratitudine, come agli altri ragazzi (Anosike, Eyenga e Dominique Johnson ndr) che erano presenti domenica: mi ha fatto molto piacere la loro visita e il fatto che mi abbiano ringraziato per quello che abbiamo fatto insieme lo scorso anno.

Penso che alla fine 20 punti, quindi 10 vittorie, siano un margine o un obiettivo legittimo e realistico da puntare per chi vuole salvarsi. Poi può capitare che in un anno ne servano di più ed in altri anni un po’ meno.


Firmerei per non essere all’ultimo posto e nemmeno vicino ad esso. Poi non importa la posizione quanto la distanza di sicurezza dai pericoli, per poter essere sereni e tranquilli e per continuare a fare dei passi avanti. Su questo sono fiducioso: i primi tre mesi mi lasciano dentro la sensazione che la squadra possa continuare il suo processo di miglioramento e di crescita. La strada è quella giusta ma ne abbiamo ancora tanta da fare: saranno le abitudini e la conoscenza reciproca a marcare la differenza, è solo questione di tempo. Ci saranno momenti in cui andremo a 180 all’ora ed altri ad 80. Ma, ripeto, la strada è questa.