Cinque ipotesi per il futuro del Varese

La salvezza della squadra è impossibile, forse come quella della società: ecco tutte le strade possibili. Non ci sono i tempi tecnici per sfangarla in stile Bari o Parma. Per non sparire servono soldi freschi

A otto giornate dalla fine della serie B, quello che preoccupa veramente il mondo biancorosso non è tanto l’esito del campionato. Premesso che la matematica tiene ancora vive le speranze di salvezza del Varese (ma il realismo impone per lo meno un po’ di titubanza), c’è da capire che ne sarà del domani. Perché tutti sanno che i conti economici della società sono tutt’altro che rosei, quindi un po’ di chiarezza non fa mai male.

Per iscriversi alla prossima serie B (in caso di salvezza) bisognerà presentare una fidejussione di 800mila euro entro il 30 giugno, dimostrando di avere pagato tutti i debiti sportivi pregressi. La fidejussione scende a 600mila in caso di iscrizione alla Lega Pro.
Questo è però solo il requisito iniziale. Durante l’anno ci sono diverse scadenze da rispettare, e tutti hanno visto i salti mortali che il Varese ha dovuto fare quest’anno. Tutto può restare così

com’è. Ma ci sono nuovi soci disposti a investire soldi, tanti soldi, per dare un futuro al club? Perché tappare i buchi non serve a niente.
A oggi i debiti del Varese ammonterebbero a 9-10 milioni di euro. Quasi due mesi fa il club di via Manin ha consegnato nelle mani del sindaco Attilio Fontana un’ipotesi di accordo di ristrutturazione, disciplinato dalla legge fallimentare (art. 182bis).
Nel caso in cui almeno il 60% dei creditori appoggiasse questa procedura (ricavando ovviamente meno di quanto vantato nei confronti della società), i conti si ripianerebbero e il nuovo management partirebbe “pulito”. Il problema è che i soggetti che il sindaco aveva trovato per la salvezza del Varese, una volta letti i conti, avrebbero rifiutato l’invito.

Ipotesi autofallimento. Sull’esempio del Bari dello scorso anno, il club potrebbe portare i libri in tribunale, che nomina un curatore fallimentare, fa fare una perizia dai tecnici sui beni dell’azienda, compresi contratti dei calciatori, automezzi, marchio e via dicendo. A quel punto viene indetta l’asta in 25-30 giorni, e chi compra la società compra anche il diritto sportivo.
Due i problemi: la società non voleva e non vuole (anche perché significherebbe affossare completamente Laurenza), e anche se volesse, ormai sarebbe troppo tardi per chiudere tutto entro il 30 giugno, limite massimo entro cui il nuovo club dovrebbe chiedere l’iscrizione al prossimo campionato.
Fallimento vero e proprio. Può essere richiesto da un creditore che vanta almeno 30mila euro di crediti verso la società (o da più creditori che vantano, in totale, almeno 30mila euro di crediti), oppure direttamente dalla Procura della Repubblica qualora ritenga che ci siano delle ipotesi di reato.
È un po’ quello che è successo al Parma. Ma là è stato fatto tutto per tempo, e quindi, se qualcuno dovesse aggiudicarsi l’asta in programma il mese prossimo, il Parma sarebbe salvo.

Altra opzione, il Varese finisce il campionato e non riesce a iscriversi alla prossima stagione.
A quel punto subentra il comma 10 art. 52 delle Noif, che permette a una città che avesse una società nel calcio professionistico e che non riuscisse a iscriversi al campionato, di chiedere, tramite il sindaco, l’ammissione di una nuova e diversa società o alla serie D (pagando l’una tantum di 300mila euro) o all’Eccellenza (sborsando 100mila euro). Così hanno fatto recentemente Padova, Siena, Pisa, Mantova, Fiorentina e Napoli: non il Torino, che si avvalse del lodo Petrucci, ormai non più praticabile.
C’è anche un’ultima ipotesi, la più terribile. Il Varese prova a iscriversi fino alla fine, non ce la fa, e non c’è nessuno che abbia le risorse per chiedere l’applicazione di questa norma. In questo caso i biancorossi sparirebbero.