Lulù Oliveira, corri e salva la Pro

Regala subito un pallone ai giocatori biancoblù Luis Ayrton Oliveira Barroso detto Lulù al primo allenamento della sua Pro Patria. Subito un messaggio forte e chiaro ai ragazzi per dire che la tecnica viene prima di tutto e che con quel pezzo di cuoio ci devi saper fare. Certo non mancherà la parte atletica che verrà riservata al periodo di ritiro, ma in questi primissimi giorni è giusto rieducare subito il piede. Meglio riprendere l’attrezzo del mestiere anche perché si è un po’ in ritardo sulla tabella di marcia e tra meno di un mese si va in campo per i tre punti. Via la ruggine di quasi tre mesi per essere pronti il 31 agosto alla prima di campionato. Subito “malta e cazzuola” dopo un piccolo preambolo coi giocatori nel cortile dello spogliatoio in attesa che tutti rientrassero dalle visite mediche.

Probabilmente è arrivata qualche raccomandazione, però, subito dopo, dentro tutti sul terreno dello Speroni a palleggiare sotto lo sguardo incuriosito di una ventina di tifosi che finalmente tornano a vedere il pallone sul prato di casa. Un torello per riprendere confidenza seguito da un serie di palleggi e da una partitella finale. Poco più di un’ora e mezza come primo assaggio; per gli approfondimenti ci sarà tempo quando tutta la Pro Patria andrà in ritiro.

Oggi si fa così: il pallone entra in gioco già ai primi minuti della preparazione. Oggi si fa per dire perché negli anni sessanta il mitico Helenio Herrera cominciava a far sudare i suoi nerazzurri col pallone tra i piedi nel tradizionale ritiro di San Pellegrino.

La tecnica prima di tutto perché Oliveira ha fatto una ragione di vita nel sapersi destreggiare col pallone. Palla al piede e via sulla fascia fino alla linea di fondo per crossare e anche per andare in gol. Un avvio bruciante come fosse sui blocchi di partenza di una pista di atletica e via con la palla appiccicata sia con la maglia del Cagliari che con quella con la Fiorentina. Come una lepre che scappa inseguita invano da una muta di cani per la gioia dei tifosi del Sant’Elia, quello vero e non quello mutilato dei giorni nostri, e anche per gli hurrà dei fans della curva Fiesole della Fiorentina.

Vien difficile chiamarlo “mister” non perché non abbia mai allenato tra i professionisti, anche se tra i dilettanti può fregiarsi di una Coppa Italia col Muravera e di un premio come miglior allenatore della categoria. Vien difficile chiamarlo mister non per mancanza di rispetto, viene invece spontaneo chiamarlo Lulù per la sua semplicità e per quel fisico asciutto che in mezzo ai suoi nuovi ragazzi non sfigura. Perché ti sembra che sia il ragazzo che ha appena smesso di correre sul campo e subito si è messo in panchina.

Partecipa con i suoi giocatori a qualche esercizio di streching sotto la direzione del preparatore Miraglia; non completa le quarantacinque primavere ma non sono assimilabili a quelli che ne hanno mese in fila solo venti.

Lulù e non mister perché il nome si pronuncia quasi in una frazione di secondo, nello spazio di un lampo, com’era lui saettante sul campo.

E quel nome, Ayrton, che i suoi genitori vollero accanto a quello di Luis involontariamente era premonitore di velocità. Pura coincidenza, confrontando la data di nascita del povero Senna (1960) con quella di Oliveira (1969). Due brasiliani nell’anima anche se il neo tigrotto è stato naturalizzato belga e ha pure giocato con la nazionale dei Paesi Bassi.

La sua corsa in picchiata gli è valsa anche il nomignolo di “falco”, oltre a essere appassionato del rapace.

Quel falco deve ora difendere un tigrotto. Per mettersi al riparo da altri rapaci che tenteranno di azzannarlo. Lulù sa che lo attende un compito impegnativo che solo chi ha coraggio può affrontare. Non solo difendere, ma anche attaccare sempre col pallone tra i piedi come se fosse una preda fra le zampe acuminate di un falco e le fauci di una tigre.

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