«Papà, avevi ragione: ho vinto la cintura»

Boxe - Michele Esposito in redazione per raccontarci le sue emozioni: «Il sogno? Combattere nella mia Varese»

Tenere in mano quella cintura. Tenere in mano la cintura di campione italiano, non è facile. No: perché è oro. Preziosa e pesante allo stesso tempo. E, quando Michele Esposito, ieri, è venuto in redazione a farcela vedere, non abbiamo resistito alla tentazione di tenerla tra le nostre mani. «Quando ero nei dilettanti – racconta Esposito – ho vinto molti tornei, anche prestigiosi: una decina, più o meno. Ma, per un motivo o per l’altro, non ho mai avuto l’onore di alzare una cintura, mi hanno dato sempre e solo quadretti da appendere in camera». E, per un pugile, la cintura vale più della propria vita: «Un giorno, mio padre Nino – continua -, vedendomi incavolato per questa cosa, mi disse una frase a cui ho ripensato il giorno in cui mi sono preso il titolo: “Non ti preoccupare: la prima cintura che alzerai sarà quella da campione italiano”. E così è stato».

Quattordici anni di lotte, di lividi, di pugni dati e di pugni presi. Quattordici anni dello sport più bello e duro al mondo. E, ora, la soddisfazione più bella per Michele. Perché le cose migliori, nella vita, arrivano sempre così: per caso. «Pensare che, quando ero un bambino, del pugilato non poteva fregarmene niente. Ero appassionato di ciclismo, come mio padre, e andavo in bici. Poi, un giorno decisi di smettere e andai in una palestra a Casale Litta, dove abitavo con i miei. Lì facevano boxe, io volevo tenermi allenato e magari imparare a tirare qualche pugno, che nella vita serve sempre. Così ho iniziato: per puro caso. E, mio papà, che giustamente si preoccupava, mi disse: “Va bene, allenati, ma non combattere”. Manco tre mesi dopo ero sul ring a fare sul serio, perché vedevo che tirare i pugni mi riusciva bene, e mi piaceva».

Quando Michele ci parla di boxe, i suoi occhi si accendono: sembra che lì dentro brucino le fiamme dell’inferno. La voglia di rivincita, di rivalsa, di dimostrare a se stesso e agli altri che è il migliore. Per far vedere, a chi non gli credeva, quanto si sbagliava. «La cosa più bella del pugilato? È l’adrenalina che ti sale lungo la schiena prima di mettere piede sopra il ring. Quella sensazione lì è una droga: ho parlato in questi anni con altri pugili “in

pensione” e tutti mi hanno detto che quando smetti, non provare più quella sensazione è la cosa più dura. È qualcosa d’inspiegabile: un misto di paura di perdere e voglia di vincere. Una sensazione che nella vita reale è impossibile da vivere. Manco il paracadutismo ti fa provare quelle emozioni», ci racconta lui. «La cosa che odio del pugilato? Il sacrificio e la fatica nel perdere peso: sulla bilancia arriviamo talmente magri e disidratati che quasi ci sentiamo svenire. Io, per questo incontro ne ho persi una decina…» E noi, che gli siamo seduti di fronte, che lo guardiamo negli occhi, non possiamo che credergli. «Il sogno più grande? Salire sul ring e combattere nella mia città, nella mia Varese». In questa cosa, noi de La Provincia, siamo con te, campione.