Poz, uno spasso olimpico: «Io, pugile a Casa Italia…»

I ricordi: Pozzecco, Atene 2004 e le pillole di un sogno realizzato

I guantoni di Roberto Cammarelle, firmati dai pugili della spedizione italiana (guantoni che – c’erano dubbi? – l’intervistato avrebbe poi usato per tirare cazzotti a destra e a manca a Casa Italia). Carl Lewis in tribuna ad Oaka durante l’indimenticabile semifinale contro la Lituania. E poi le gare di ping pong e tutte quelle discipline da divorare come spettatore, i racconti di Dino Meneghin (omissis), le ragazze dalla bellezza impagabile, Basile e Bulleri pietrificati all’antidoping e quell’ultima sera…

Amarcord Pozzecco, versione Atene 2004. I pop corn non ve li possiamo portare, ma vi assicuriamo che il flusso di coscienza del più forte playmaker italiano di tutti i tempi (sì, per noi è un sì…) è come sempre un mix impagabile di emozioni. Una goduria. Pronti? Via: «Iniziamo col dire che quando parti dall’Italia per andare alle Olimpiadi in valigia hai forse giusto le mutande non griffate di azzurro. Per il resto, tutto il giorno,

tutti i giorni, vai in giro e sei sempre riconoscibile come un atleta della nazionale. Io ne approfittavo e salutavo tutti quelli vestiti come me». Capito come si fa a conoscere la gente? «Il migliore? Cammarelle. Mi regalò i guantoni perchè mi aveva visto fare lo stupido durante una partita fingendo di essere un pugile. Con lui il grande Francesco “Ciccio” Damiani e i ragazzi della pallanuoto. Insomma, chi si sapeva davvero godere una vittoria, come me…». Ma le gare degli altri sport Pozzecco andava a vederle? «Ovvio. Ma ti rendi conto? Ad un’Olimpiade hai la possibilità di ammirare ogni disciplina ai suoi massimi livelli e che fai, te la perdi? Insieme a Matteo Soragna (e la vera medaglia che ho vinto ad Atene è stata sopportarlo un mese intero in camera) e a Roberto Oggioni non ci perdevamo nulla, dal ping pong in su. Avrei tanto voluto assistere anche ai combattimenti di judo del mio amico Paolo Bianchessi, ma rischiavo di saltare una nostra partita». Si potrebbe andare avanti per ore, tra il pubblicabile e il non, con chi ha amato e vissuto a pieno ogni attimo della sua carriera e, quindi, non può che aver adorato l’esperienza olimpica. Una discreta sintesi è il racconto dell’ultima sera, la prima con la medaglia d’argento al collo: «Dopo la finale il Bullo e il Baso tardarono, e non di poco, all’antidoping e al villaggio tornammo tardissimo, per poi raggiungere la discoteca alle 4.30 del mattino. Lì trovammo i giocatori dell’Argentina che ci avevano appena battuto. Una cosa tira l’altra e iniziammo a rovesciarci i bicchieri in testa, con una guerriglia che coinvolse tutti e andò avanti fino a quando nel locale esaurirono tutte le scorte di liquidi. Ti prego, non scrivere quale fu la soluzione alternativa che trovammo a quel punto…». No, Poz, promesso: «Rincasammo alle 10, alle 12 ricevimento ufficiale a Casa Italia. Io mi presentai in guantoni…». Quelli dell’amico Cammarelle, ovviamente.