Questa salvezza sarebbe piaciuta al Peo

Una volta, quando il Varese aveva un problema, chiamava Maroso e lui glielo risolveva. Siccome Mario Belluzzo fu scelto e portato in biancorosso dal Peo, ne ha ereditato anche i galloni di taumaturgo: ogni dieci anni, giorno più giorno meno, gli chiedono di tener su la baracca e lui non si tira mai indietro.Nel 1994, dopo l’autoretrocessione, riportò subito la squadra in C2. Nel 2004, dopo il fallimento, c’era lui in panchina a Parabiago, quando il Varese era nella polvere e nessun altro avrebbe preso una squadra che, semplicemente, fino al giorno prima non esisteva. Nel 2014,
è storia di questi giorni, in coppia con Bettinelli ha preso il Varese a due giornate dalla fine e l’ha salvato da una situazione drammatica.

Mario Belluzzo non ama riposarsi. Appena salvato il Varese con Stefano Bettinelli, è partito per Canazei, dove tiene la parte calcistica di un camp estivo per ragazzi. Quest’anno può insegnare come si ribalta il destino.

Perché?

E ho ricevuto altrettanto, se non di più.

Stavolta me l’hanno fatto solo finire. Ed è stato bellissimo.

Difficile scegliere: emozioni diverse, situazioni opposte, ma sempre vissute senza risparmio. Nel ’94 vincemmo tutto: campionato, due coppe Italia e supercoppa, e non era scontato, anche se eravamo favoriti. Dieci anni fa fu stimolante, ma troppo breve. L’ultima è ancora fresca per giudicarla oggettivamente: ma anche a mente fredda credo che penserò quel che penso adesso.

Qualcosa di straordinario, fatto insieme alla squadra e a tutto lo staff.

Disperata. La squadra era moralmente distrutta dalla lunga serie negativa e da una classifica allucinante.

Niente di speciale.

Dico davvero: i miracoli non esistono, esiste solo il lavoro. Parlando con tutti abbiamo puntato su indicazioni semplici e chiare. Nessun grande discorso, nessun magheggio. Si trattava di creare l’ambiente giusto, di ristabilire un clima di fiducia.

Quasi subito: mi è bastato vedere le facce convinte dei giocatori, soprattutto dei veterani. Sottili e Gautieri avevano fallito, e Bettinelli non era più famoso di loro, anzi: potevano snobbarlo, invece lo ascoltavano. Credevano in lui e nelle cose che diceva.

Abbiamo chiesto due o tre cose fatte bene. Eravamo come studenti alla vigilia dell’esame: inutile rileggere di corsa tutto il libro, meglio due-tre cose sapute bene.

Ci siamo salvati più lì, con lo 0-0 in campionato, che nel doppio confronto dei playout.

Loro erano sicuri di vincere e di sorpassarci. Siamo rimasti in dieci, con una formazione di assoluta emergenza, ma senza mollare un centimetro abbiamo tenuto il pari. Quel giorno abbiamo dimostrato di saper soffrire e di potercela fare. E abbiamo chiuso l’ombrello, dopo sette partite di diluvio. Lì noi ci siamo resi conto di essere tornati, e al Novara sono venute a mancare un bel po’ di certezze. Una su tutte: sulla carta erano più forti, sul campo gli abbiamo fatto vedere di che pasta eravamo fatti.

In momenti così le motivazioni di chi si sente cucita addosso la maglia sono fondamentali. Avete visto Fiamozzi, Forte, Barberis: giovani e fatti in casa, nel momento chiave sono stati protagonisti.

Nei ragazzi bisogna credere fino in fondo, non a ondate: dar loro fiducia e lasciarli sbagliare. È il modo giusto per farli crescere: se al primo errore li togli, non diventeranno mai calciatori veri.

Si somigliano tantissimo: leader in campo e fuori. Leo come Angelone è un ragazzo d’oro, umile, trascinatore. Mi ha impressionato questa generosità. Vale il discorso degli altri giovani: se gli danno fiducia, un giorno farà venti gol anche in serie A.

È pronto per essere titolare fisso. Un ragazzo di grandissima prospettiva, tecnicamente e caratterialmente diverso da De Luca, ma con la stessa fame e la stessa possibilità di fare carriera. Un patrimonio del Varese su cui puntare: la prossima stagione per lui sarà cruciale.

Titolare nelle ultime quattro partite, sfide senza ritorno che ha giocato molto bene. Va aiutato perché ha un’indole particolare, timida: deve credere di più nei propri mezzi, ma è un altro da cui ripartire.

Mi ha tolto più sonno vedere in tv i playoff Nba del Varese. Perché ogni giorno, arrivando al campo, percepivo serenità. La tensione c’era, ovvio, ma era positiva, e questo mi lasciava tranquillo.

Ogni giorno. Ci siamo salvati alla Maroso, da operai della Fiat: con lo spirito, la fame, l’umiltà. Dove ci sono gavetta e sudore, lì c’è qualcosa del Peo. Credo che questa salvezza gli sarebbe piaciuta.

Io non mi porrei nemmeno il problema.

Mi sarebbe dispiaciuto per i ragazzi del vivaio. Avremmo dovuto riconsiderare i programmi sulla Primavera, gli Allievi. Sarebbero cambiate le prospettive di tutti, avremmo perso tanta qualità che invece conserveremo.

L’ambiente dovrà fare tesoro di questa sofferenza a lieto fine. Ed evitare di rischiare ancora così.

Stefano Affolti

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