«Solo la sfiga mi ha battuto»

Michele Esposito ha ceduto la corona di campione italiano dei pesi welter venerdì contro lo “squalo” Tobia Loriga

Il ruggito di un leone in gabbia, gli artigli che graffiano le sbarre, gli occhi famelici, sbarrati, incazzati. È il ritratto di Michele Esposito, il pugile di Daverio che venerdì si è visto strappare dalle mani il titolo italiano dei pesi welter. Un leone ferito. Un Campione ferito, che adesso urla vendetta. Settimana scorsa Esposito è volato a Crotone per difendere la sua corona dall’assalto dello “squalo” Tobia Loriga, pugile crotonese esperto e aggressivo. Dopo cinque riprese di ganci e schivate,

c’è stata una testata, involontaria, tra Esposito e Loriga. Il varesino ha avuto la peggio, un taglio gli ha aperto la fronte: il sangue scorre, gli invade il volto, gli occhi. L’incontro si complica e il ring diventa specchio della vita. «Non mi fermo, non mi arrendo». E allora ecco un altro pugno, un gancio e poi un montante, e poi ancora un gancio. Michele vuole difendere il suo titolo. Ma l’incontro ormai è compromesso, l’arbitro ferma tutto: Michele non ci vede più. Si va alla conta dei punti. Loriga vince. Anzi no, Michele perde. Perché il varesino ha dominato per quasi tutte e cinque le riprese. Il sangue, il danno. La sconfitta, la beffa. E la rabbia e l’orgoglio del campione ferito, ma non battuto.

C’era un clima molto ostile nel palazzetto ma sono partito abbastanza bene. Sul finale della prima ripresa gli ho dato un gancio sinistro che ha accusato, anche se non sono riuscito ad approfittarne visto che dopo pochi istanti è suonata la campana. Dovrò rivedere il video ma sono sicuro che non stavo perdendo, stavo andando come avevo preventivato. La strategia era quella di accelerare dopo la quinta ripresa: Loriga non avrebbe potuto tenere la pressione che stavo impostando, avrei fatto le ultime cinque riprese al massimo.


Sulla quinta ci siamo scontrati con la testa. Mi si è aperto un taglio sopra la fronte e sanguinavo parecchio. L’arbitro ha provato a pulirmi e ho fatto 20 secondi in cui ho provato a tirare qualche colpo continuando ad attaccare ma era quasi impossibile, ero una maschera di sangue. Il vero problema di quelle ferite non è il dolore ma la vista che si appanna. Così l’incontro è stato sospeso, i giudici hanno letto i cartellini: uno dava me vincitore sopra di due punti, gli altri due vedevano vincente Loriga. E così è stato. Non voglio fare polemiche però ho perso immeritatamente. Quando ho deciso di andare e di combattere per il titolo contro di lui, sapevo che se non lo avessi messo per terra e fossimo andati ai punti, sarebbe stata dura.

Ripeto, non cerco polemiche. Però credo sia un ko ingiusto. Il titolo avrebbe dovuto strapparmelo buttandomi per terra, avendo la meglio su di me in modo netto, ma una sua superiorità non c’è mai stata. Avrei accettato di perdere se fosse stato palesemente superiore, non così. Non è giusto. Solo la sfiga mi ha battuto, sicuramente non mi ha battuto Loriga. Ho sempre attaccato io. Non cerco scuse ma noi pugili ci facciamo il mazzo, prendiamo pugni, facciamo sacrifici, ci spacchiamo e sputiamo letteralmente sangue: farmi beffare così a 1200 chilometri da casa è un boccone amaro da digerire.

Loriga ha vinto il titolo e ha dichiarato di voler appendere i guantoni al chiodo. La beffa è davvero doppia, non potrò rifarmi.


So che questo incontro non l’ho perso. Che si tengano la loro cintura di cartone. Quando ho vinto il titolo contro Giacomo Mazzoni, il 27 maggio scorso, ho atterrato tre volte il mio avversario, Loriga invece ha vinto grazie ad una pacca sulla spalla dei giudici. Quando è toccato a me, il titolo me lo sono preso con prepotenza e sapendo di essermelo meritato.

È un verdetto che non mi torna e che non riesco a digerire. Sono molto arrabbiato e ovviamente ci rimugino sopra. Tuttavia cercherò di combattere al più presto per cancellare questo capitolo schifoso della mia carriera. Combatterei ovunque e con chiunque, non m’importa. Voglio solo tornare sul ring per cancellare un’ingiustizia. Una cosa però è certa: quella cintura me la riprenderò. È mia, e la rivoglio.