Torna un’altra bandiera: Limido Iacolino? In D è Mou e Ancelotti

La scalata del varese/parte seconda - La società rafforza le sue radici e la varesinità

Il Varese ai varesini, alle bandiere, ai tifosi, ai giovani parte due. La seconda tappa della rinascita, prima che qualcuno arrivi più presto di quello che ci si potrebbe attendere a scrivere quella finale, si apre con il “figlio di Giubiano” che torna a casa, in quel Franco Ossola dove insieme a fu l’enfant du pays delle furie biancorosse di Fascetti.

ieri era a Masnago a parlare con quella dirigenza del Varese che, rispetto alle ultime, nell’81/82 era sugli spalti insieme ad altre ventimila persone ad applaudire le sue punizioni, i suoi calci d’angolo («alla Zecchin», dirà qualcuno trent’anni dopo), i suoi muscoli d’acciaio, le sue incursioni mortali. Bruno esordì nel marzo del ’79 al Franco Ossola contro il Foggia (1-1), e Natale Cogliati nel suo “Miracolo a Varese” lo definì un portatore d’acqua e di cuore biancorosso,

poi gli accadde moltissime altre volte di “esordire” di nuovo, anche da avversario, nel suo stadio ma la prossima potrebbe essere la più bella, perché coinciderebbe con il suo sogno più grande svelato qualche mese fa ai Sogliano: «Vorrei tornare in mezzo al prato in tuta a far correre e divertire una squadretta biancorossa». La società, carpito quel desiderio, è scesa in campo per realizzarlo. Perché Bruno è il Varese, perché ama il calcio, e perché porta bene come quando raccontò sempre a , un minuto dopo quel Miracolo a Varese fallito a Roma contro la Lazio, con quei suoi occhi intrisi d’orgoglio, fiducia e bontà (forse troppa): «Continueremo ad aspettare il momento più felice del Varese, e un giorno arriverà». Lo stiamo ancora aspettando, e il ritorno di Bruno come allenatore o team manager (come parla lui al cuore della gente e dei giocatori, non parla nessuno), sarebbe l’ennesimo segnale: le grandi conquiste nascono anni prima di realizzarsi, le senti arrivare nell’aria, e quando Limido parte, il vento s’alza forte. In un mondo irriconoscente, il Varese si dimostra riconoscente con il ritorno alle origini del “ragazzo di periferia”. Anche perché questa società è tutta origini, varesinità (ritiro a Ponte Tresa, altri prodotti del territorio in arrivo come sponsor) e bandiere, da Frontini in là, attendendo le più grandi (Neto e Sogliano).

Già, la riconoscenza. Quella che tutti devono mostrare al Varese, prima di chiederla dal Varese a se stessi. lo sta facendo dimostrando di voler mettere questi colori davanti a tutto e tutti («Questa è la mia casa»), anche alle prossime scelte tecniche che porteranno un’altra grande punta in biancorosso (i sogni sono , brasiliano del Lecco, 26 gol finora in D dopo i 27 e i 29 nelle due stagioni precedenti, e l’ex , 27 gol nel Bra). Capitolo allenatore: noi ringraziamo (come lui sicuramente ringrazierà il Varese che l’ha voluto e gli ha messo in mano una Ferrari), ma (nove campionati vinti) è l’Ancelotti o il Mourinho della serie D. E il Varese vale il Milan, l’Inter o la Juve, e non solo in D.