«Via la mitra dal capo. Bisogna essere poveri»

anniversarioMonsignor Pagani, 40 anni di sacerdozio votati all’umiltà: «Ai preti servono solo Gesù e la gente»

– Don Severino Pagani, 40 anni di ministero sacerdotale in quella Busto che ha imparato ad amare. «Niente mitra sul capo, bisogna essere poveri». E la Basilica di San Giovanni gli tributa una calorosa standing ovation. Per la Messa del 40esimo anniversario dall’ordinazione sacerdotale del prevosto, monsignor Severino Pagani, c’erano in prima fila il neo-sindaco Emanuele Antonelli e il suo predecessore Gigi Farioli, ma è arrivato anche un messaggio di Papa Francesco. «I miei confratelli mi vogliono bene – ha ammesso don Severino a fine cerimonia – hanno organizzato tutto per me, cercando di non farmi sapere niente».

Per festeggiare il prestigioso traguardo di “Monsignore” – originario di Turate, ordinato nel giugno del ’76 dal cardinale Giovanni Colombo – sono stati stampati dei santini-ricordo, è stato allestito un rinfresco nel cortile della casa parrocchiale e nella serata di ieri è stato organizzato un suggestivo concerto-meditazione con tutti i cori del Decanato. «Ho un amico su questo altare che si chiama Mattia: voleva che mettessi la mitra oggi – ha confessato don Severino –

gli ho detto: la mitra è per le cose ufficiali, quando c’entra la persona, bisogna essere poveri, e affidati. Perché la persona del prete scompare, dev’essere povera». Una lezione di umiltà, quella di monsignor Pagani, che ricorda la sua prima Messa quarant’anni fa: «A Gesù chiesi una grazia, di andare a casa alla sera sempre stanco. Ma gli dissi anche: voglio morire da prete, perseverare fino alla fine. Me le ha concesse tutt’e due». E ricorda anche il suo arrivo a Busto, alla fine di giugno di quattro anni fa, dopo una lunga carriera di insegnamento e pastorale giovanile, per succedere a monsignor Franco Agnesi.

«Il ministero pastorale mi ha insegnato che un prete entra in punta di piedi, un po’ timoroso, poi si fa accompagnare a conoscere la città e la sua grande storia. Ai seminaristi dicevo che per diventar preti ci vogliono due cose: Gesù e la gente. La città aiuta ad amare la gente e a rispettare la storia personale di ciascuno, chi viene e chi non viene in Chiesa, perché tutti sono figli di Dio, sempre». E Busto Arsizio, dopo quattro anni, la definisce ormai «la mia amata città».Una Busto di cui, citando la lettera di San Paolo ai Corinti, può ben dire: «Sono veramente convinto che in questa città Dio ha un popolo numeroso». Un amore ricambiato. Don Severino ringrazia, tributando a sua volta il sindaco uscente Gigi Farioli «per il bene che ha fatto e che continuerà a fare» e il nuovo sindaco Emanuele Antonelli: «Lo saluto con grande affetto e grande stima. Confidiamo in una distinta ed efficace collaborazione per il bene della nostra amata città».