Ma il Varese non era anima, cuore e passione?

Ricordo una partita del Varese con il semisconosciuto Chiari in serie D – roba di dieci anni fa, mica cento – quando allo stadio Franco Ossola arrivarono quattromila spettatori per fare festa durante la cavalcata dei biancorossi di Mangia che riportarono i biancorossi nei professionisti. Il sabato prima della partita, il Dante aveva organizzato una grigliata fuori dal bar Goalasso con tutti i giocatori, la dirigenza e i tifosi; il giorno dopo il direttore Sean Sogliano aveva cazziato duramente la squadra per aver vinto solo 1-0 con gol di Bortolotto su un avversario pieno zeppo di ragazzini delle giovanili.

Cose piccole, semplici, vere di gente che ci metteva sempre la griglia, o la faccia, per creare un ambiente familiare. Perché l’amore per la maglia e per le cose che stava facendo veniva prima di qualunque interesse o, come lo stanno chiamando in questi giorni, business. Noi che siamo nati con il Varese in Eccellenza, come possiamo accettare una squadra che non incarna più alcun valore? E che è disposta a vendere l’anima al primo che passa, chiunque egli sia? Il Varese non era solo anima e cuore, una volta?