«Andreotti o un gattino. Lasciate in un’immagine un po’ di voi stessi»

Lectio magistralis - Una serata magica al Museo del Tessile

La fotografia non esiste. Affermazione che sconcerta, soprattutto se a pronunciarla (o meglio, a sceglierla come titolo di una lectio magistralis) è un fotografo di fama internazionale come Efrem Raimondi.
Ieri sera Raimondi – legnanese di nascita, ma residente da molti anni a Busto Arsizio – ha stregato il numeroso pubblico intervenuto all’incontro organizzato al Museo del Tessile dallo studio legale R&P Legal.
La fotografia non esiste, dunque. Ma in che senso? «Non esiste senza di noi,

senza il nostro sguardo – spiega il fotografo – Esistono le fotografie, certo. Ma quelle possono farle tutti. Per fare fotografia bisogna avere uno sguardo personale, una visione del mondo». E Raimondi ha sempre avuto un’idea ben precisa riguardo alla sua idea di fotografia. «La mia matrice espressiva si trova già in due lavori che ho realizzato nel 1980 e 1981 – ha racconto Raimondi alla platea – Sono due reportage, uno realizzato in Irpinia nei giorni successivi al terremoto, mentre nell’altro ho fotografato i portatori di handicap dell’Anffas di Legnano. Due lavori dal piglio intimista, slegato dalla cronaca. E che contengono una buona dose di ingenuità. Ma è stata proprio quell’ingenuità che mi ha permesso di fare il fotografo. Senza quei due lavori, il mio percorso successivo avrebbe avuto una cifra stilistica diversa».

Efrem Raimondi ha mostrato quelle immagini al pubblico bustocco (così come aveva fatto l’anno scorso con gli appassionati e studiosi che avevano gremito all’inverosimile la Triennale di Milano). Immagini che, a distanza di 36 anni, non hanno perso nulla della loro potenza espressiva, ulteriormente amplificata dalla scelta di una colonna sonora struggente come il capolavoro dei Dire Straits “Brothers in Arms”.
Splendida anche la serie dei ritratti proposta da Raimondi: ritratti di persone famose (da Vasco Rossi a Giulio Andreotti, da Joe Strummer a Philippe Starck) come di gente comune. «In ogni caso il mio approccio non cambia» puntualizza il fotografo. Che sottolinea come sia il caso di sfatare alcuni consolidati cliché. Come quello secondo il quale un buon ritratto dovrebbe “restituire l’anima del soggetto rappresentato”. «Il soggetto del ritratto è sempre il suo autore – obietta Raimondi – Come potrei restituire l’anima di una persona che in realtà non conosco?». È l’anima dell’autore, piuttosto, a fare sempre capolino attraverso lo sguardo, gli occhi, la pelle, del soggetto rappresentato. Perché senza quello sguardo, di nuovo, la fotografia non esiste.

Conta la visione del mondo, conta un determinato sguardo sulle cose. E quello può essere espresso, sottolinea Raimondi, con qualsiasi strumento: anche con l’iPhone si può fare vera fotografia (e Efrem Raimondi ne dà ampia dimostrazione mostrando una serie di meravigliosi scatti realizzati con lo smartphone della Apple).
Neppure esistono soggetti che, a priori, non meritino di essere ritratti. Pensiamo ai gatti, croce e delizia di tanti utenti dei social: c’è chi pubblica solo immagini di felini, e chi non vorrebbe mai vedere un animale su Facebook o Instagram. Raimondi dimostra che, anche in questo caso, non conta il “cosa” si rappresenta, ma il “come”. E lasciare un po’ di stessi nella foto.
Se questo accade, se nello scatto c’è qualcosa che “ci riguarda”, che ci appartiene nel profondo, stiamo incontrando la Fotografia. Il resto, sono semplici foto.