Hey, George: Quando Luino difese Harrison dagli occhi del mondo

Il mito - Correva l’anno 2001 e il chitarrista affittò una villa a Colmegna per potersi curare in Svizzera

«Ma chi, il signor Arrias? Ci ha fregato mica male. L’abbiamo letto poi dopo sui giornali che quello era uno dei Beatles». Era il 2001, inizio aprile per la precisione, quando il signor Arrias, al secolo George Harrison, uno dei quattro Fab Four di Liverpool, i Beatles, insomma, arrivò a Colmegna. Affittò una villa in zona via Torretta, molto vicina al confine con la Svizzera.
Di quella favolosa presenza i luinesi si accorsero soltanto verso la fine della permanenza di Harrison in città:

era il luglio 2001 quando, terminata la chemioterapia al cobalto alla quale si sottoponeva nella vicina Bellinzona. George se ne andò. Ma la sua presenza era stata rivelata poche settimane prima dall’arrivo di un paio di paparazzi: «Si appostarono sul vialetto della casa, che resta comunque nascosta dal giardino – racconta oggi , che all’epoca viveva in zona – commisero l’errore di varcare la soglia della proprietà privata. Si vociferò poi sui giornali che quell’invasione costò ai fotografi una denuncia. Fu in quel frangente che capimmo di avere uno dei Beatles come vicino di casa. Fu folle».

Harrison in realtà in paese non si vedeva mai. «Cambiava macchina ogni giorno – racconta Anelli – berline, per lo più, ma non certo delle Ferrari. Macchine comode, potenti, di lusso, ma mai extra lusso. Lo faceva, sapemmo poi, per non dare nell’occhio. Ogni giorno un’auto diversa con la quale compiva quel tragitto di 40, 45 minuti, che da Colmegna lo portava a Como e poi a Bellinzona. Dove veniva curato. Quando leggemmo della malattia, quando capimmo che le sue condizioni di salute erano delicate, realizzammo perché George Harrison fosse stato così schivo da non andare nemmeno al bar a bersi un caffè. Stava male».
Harrison si recherà poi in una clinica di New York per essere operato. Ma quella a Colmegna fu la parentesi della speranza. «Con lui c’era la moglie Olivia. Qualcuno l’ha intravista e l’ha poi riconosciuta. Harrison morì a 58 anni nel novembre di quello stesso anno. Tutti noi riconoscemmo dalle foto sui giornali quella donna riservata, dalla frangetta castana che avevamo qualche volta visto balenare in quelle auto di passaggio. Nessuno di loro fece vita mondana, per ovvie ragioni».

La villa era assolutamente ben sorvegliata: l’anno prima Harrison fu aggredito da un fanatico in una delle sue abitazioni inglesi. Colmegna, una volta superato lo stupore di ritrovarsi un Beatles quale concittadino seppur per un breve periodo, capì la tragicità del momento. Harrison stava male: smentiva i giornali che lo davano per spacciato, ma stava lottando contro un male potentissimo che alla fine ebbe la meglio. E Colmegna fece cadere una coltre di silenzio a tutela di quella «leggenda della musica. Che tutti noi avremmo voluto abbracciare, applaudire, anche soltanto incrociare per strada, ma che stava male e meritava rispetto» racconta Anelli. Ed eccoli lì i giornalisti di Repubblica, del Corriere e in un giorno di giugno fu segnalato persino un corrispondente AdnKronos, vagare, vagare alla ricerca di quella villa. Alla ricerca di una battuta, un pettegolezzo. «Lei l’ha visto? Come sta? Ha i capelli?». E per contro eccoli i luinesi a lasciarli vagare, senza mai un indicazione. «Harrison chi? Arris? Mai sentito. Sicuri che sia qui?». Qualcuno alla notizia che un Beatles forse si stava godendo il fresco nel giardino lì accanto, rise in faccia ai giornalisti dando loro dei matti, pur sapendo che era tutto vero. «Meritava di essere lasciato in pace. Da noi e dal mondo» conclude Anelli.