«Dal treno vedevo ogni giorno il Seminario». I 50 anni di sacerdozio di monsignor Donnini

Il prevosto emerito di Varese venne ordinato dal cardinal Colombo il 28 giugno 1967

Mezzo secolo di sacerdozio: a festeggiarlo solennemente domenica prossima sarà , il prevosto emerito di Varese, ordinato il 28 di giugno 1967 dal Cardinal Colombo. La processione che lui stesso guiderà fino a San Vittore alle 21 partirà dalla chiesa dei Ss. Pietro e Paolo di Biumo, dove da qualche anno don Gilberto dice Messa: un segno del destino, dato che la sua prima celebrazione risale al 29 di giugno di cinquant’anni fa, proprio nella ricorrenza dei due apostoli di Cristo.

Don Gilberto nasce a Varese nell’allora via Vittorio Veneto 1, oggi via Bagaini, il 21 maggio del 1939 da genitori toscani, portando i geni di una nonna di Cunardo: il padre è ingegnere edile, la madre insegnante al Daverio. Si diploma al Cairoli nel ’57, in un’epoca in cui il classico aveva solamente due sezioni e gli allievi erano in tutto 34; quindi si iscrive alla facoltà di chimica industriale a Milano, dove, frequentando gli universitari cattolici,

inizia a maturare in lui la vocazione. «Andando a Milano da pendolare con il treno delle 6.50 vedevo scorrere sotto i miei occhi tutti i giorni il Seminario di Venegono» racconta. «Un giorno ne parlai con il mio coadiutore, don Sandro Dellera, il quale mi mandò a fare gli esercizi spirituali; l’itinerario per capire se si trattava di una chiamata reale del Signore oppure semplicemente un pensiero passeggero durò due anni, alla fine dei quali lasciai l’università al terzo anno, iscrivendomi al primo anno di seminario a Saronno. Non era il caso di proseguire oltre con chimica: in più, una volta laureato, avrei dovuto fare anche 18 mesi di militare, ed ero già abbastanza avanti con gli anni. Mia madre non fece nessun problema, mio padre all’inizio faticò a digerire la pillola». Ordinato sacerdote, don Gilberto viene destinato all’oratorio di Carnago come coadiutore: vi rimane 11 anni. «C’era, fra i giovani, un ragazzo al quale era venuta l’idea di fondare un giornalino bimestrale del paese: lo aveva chiamato “Il Setaccio”. Mettemmo in piedi una redazione, le cui riunioni, dato il periodo – erano gli anni della contestazione, benché Carnago fosse un paese abbastanza tranquillo – erano interminabili: da qui mi appassionai al giornalismo». Alla fine degli anni ’70 viene mandato ad Affori all’oratorio femminile: «Dovevamo fare le riunioni blindati e mai in orario serale, ma era un ambiente intellettualmente molto dinamico. Nel frattempo monsignor Citterio, il vicario episcopale, mi chiamò come vice di don Pino Marelli, il direttore del “Luce”, che era stato nominato parroco di Biumo Superiore; nell’82 assunsi la direzione del giornale, e di lì a poco, nell’86, dopo essere stato nel consiglio, diventavo presidente della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici Diocesani. Giravo l’Italia: erano tempi in cui la gente era molto legata al territorio. A metà estate del ’91 il cardinal Martini mi chiamò come responsabile della comunicazione sociale della diocesi: lasciai “Luce” e divenni il suo portavoce, iniziando la mia avventura con la famosa conferenza stampa sul lembo del mantello. Furono anni intensi: fare il giornalista per me non era in contrasto con l’essere prete, il sacerdozio è chiamato anche ad un compito di collegamento fra la fede e la cultura, ma era un incarico logorante, e poi volevo evolvere nella mia missione. Così nel ’97 accettai di diventare prevosto a Somma Lombardo: ci rimasi nove anni, umanamente molto belli. Poi, quando don Peppino Maffi, del quale sono amico fraterno dai tempi di Carnago – lui era vicario a Solbiate – divenne rettore del seminario, il cardinal Tettamanzi mi chiamò come prevosto di Varese: era il 2006, ci rimasi fino al 2015, quando diedi le dimissioni per raggiunti limiti di età, tirando il fiato».

Anche durante il periodo giornalistico don Gilberto esercita il servizio pastorale: «Lo svolgevo nella neonata Kolbe e successivamente mi divisi fra Valle Olona, dove andavo anche a fare le confessioni del sabato pomeriggio, e a Mentasti, dove dicevo Messa in un garage al sabato sera». Ma l’impegno più gravoso è stato fare il prevosto: «Benché a San Vittore fossi legato per i miei natali, era tutto appesantito dalla troppa burocrazia». Durante quegli anni, grazie a lui viene ultimato il restauro di Sant’Antonio alla Motta. Tornato prete nella Comunità Parrocchiale del Beato Samuele Marzorati, senza più responsabilità amministrative, giuridiche e fiscali, don Gilberto può fare finalmente solo il prete: la strada scelta sin dall’inizio. «Dico la Messa a Biumo Inferiore la sera alle 18, don Carlo la mattina, poi vado dove serve, e sono contento così». Un uomo straordinario, al quale verrà riservato, l’8 settembre, di celebrare la Messa Solenne in Basilica per l’inizio del settenario dell’Addolorata.