Ecco l’ennesima lettera anonima. «Andate a indagare su quel prete»

La missiva è stata recapitata a Patrizia Esposito, difensore di Binda

Omicidio Macchi: 30 anni di lettere anonime e veleni. Il processo in corso che vede Stefano Binda, 50 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia Macchi, assassinata con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, accusato davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato dell’omicidio della studentessa di 20 anni, non pare fare perdere il vizio ai “corvi”.

L’epilogo di questo modus operandi partito con l’anonimo In morte di un’amica, recapitato a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia è arrivato ieri. Quando, durante l’udienza in Corte d’Assise, , codifensore di Binda con, ha portato all’attenzione della Corte una nuova lettera anonima. Recapitata al suo ufficio il 2 novembre e imbucata, chissà dove, il 30 ottobre. Chissà dove perchè ad oggi tutte le missive in zona Varese sono timbrate Roserio,

il centro di smistamento posta di riferimento della zona. Una lettera firmata “Bianchi G.”, di fatto anonima visto che Bianchi G., uomo o donna che sia non corrisponde a nessuna delle persone coinvolte nelle indagini. È da considerarsi anonima questa lettera perchè Bianchi G. Allo stato vale quanto Pinco Pallino. La missiva, compresa l’intestazione sulla busta, è stata scritta utilizzando un normografo. Uno di quegli aggeggi di plastica cari agli studenti delle elementari che hanno impresse le lettere: uno lo appoggia sul foglio, percorre i bordo delle terre con la penna e rende impossibile così riconoscere la propria grafia.

Nella lettera, scritta su un foglio a righe piegato in due nella busta, si accusa don di essere un vizioso. E si invita a indagare su di lui. L’autore, o autrice della missiva, si descrive come “amico di Lidia”. Don Costabile, 30 anni fa, fu sospettato dal pubblico ministero , iniziale titolare del fascicolo, 30 anni fa. Il sacerdote oggi è completamente scagionato da ogni accusa: la procura generale di Milano, tre anni fa, si scusò con lui per l’onta subita. Il prete non ha niente a che vedere con l’omicidio, prova ne è il confronto del Dna che lo scagiona completamente, ne ha mai avuto richiami per comportamenti non consoni al suo ruolo. Una calunnia. Come ha specificato , legale della famiglia Macchi in aula: «Questa lettera calunnia gravemente don Antonio Costabile – ha affermato – se c’è qualcosa che non si può imputare al pm Abate è quella di aver attenzionato a 360 gradi in quell’epoca don Antonio. Il suo alibi non fu scalfito. Questo anonimo, come può definirsi un amico di Lidia? Di questo nome, G.Bianchi, non vi è traccia in nessun quaderno o agenda di Lidia. Con quali prove e su quali basi scrive che a don Antonio piacevano le ragazze?».

Esposito spiega: «Quando ho visto la busta ho pensato a una lettera di minaccia. L’ho guardata in controluce per vedere se ci fossero dei proiettili dentro. L’ho aperta tenendo di lato lo scritto». Perché? Perché questa lettera adesso? «Non ho la ben che minima idea di chi l’abbia scritta o del perché», dice Esposito. Nella vicenda Macchi pare che in molti sappiano ma vadano avanti in forma anonima. Anonima la lettera in morte di un’amica. Anonime altre missive, imbuca a Vercelli, inviate alla famiglia Macchi pochi mesi dopo il delitto. Anonima la persona che rivolgendosi all’avvocato , del foro di Brescia, ha affidato al legale il compito di dichiarare che Binda non era l’autore di In morte di un’amica, vietando però al legale di rivelare la propria identità appellandosi al segreto professionale. Anonima quest’ultima lettera che la pm ha definito «un ingresso surrettizio di uno scritto anonimo nel processo» e ancora «Un atto scenico, subliminale». Un mitomane? Trent’anni di mitomani? Di segreti? Di paura di voci intorno a un delitto che ha visto Binda comparire soltanto nel 2016 mai prima? Perchè queste persone non si fanno avanti? «Per paura? – chiede Esposito – noi non possiamo fare altro che invitarle, che supplicarle visto che c’è un uomo in galere, di farsi avanti e dire ciò che sanno».

La missiva è stata ora inviata in procura a Varese per indagini. Certo sarebbe interessante se questi fantasmi molto ben informati si facessero avanti una volta per tutte.