Educano i nostri figli. Ma vengono “sottopagati”

Un viaggio nel mondo delle figure professionali che svolgono un compito delicato nelle scuole. Sono educatrici ed educatori che si occupano di bambini disabili o con disagi e difficoltà di diverso tipo

Ci sono una serie di servizi scolastici che diversi comuni, come quello di Varese, hanno esternalizzato totalmente o in parte. Ad esempio il pre-scuola il dopo-scuola la mensa, l’assistenza domiciliare in casi particolari e l’assistenza alla persona come disabili o persone con disagi.

Quindi il comune per garantire il servizio fa degli appalti in cui ci sono cooperative accreditate, che quindi in teoria dovrebbero garantire una serie di parametri ai lavoratori, come la formazione continua degli educatori – che devono avere i titoli per poter svolgere questo lavoro – o la supervisione costante, perché spesso si incorre in situazioni complesse che necessitano un lavoro d’equipe. Nel garantire questo, le cooperative, per ogni educatore, prendono una quota di soldi dal comune.

Su Varese c’è un sistema misto e quindi sugli stessi servizi e con identiche mansioni lavorano gli educatori assunti dal comune e quelli che lavorano per le cooperative. Qual è la differenza?

«Innanzitutto la retribuzione», ci racconta una ragazza che ha fatto l’educatrice per diverse cooperative e che per ovvie ragioni ci ha chiesto di rimanere anonima, specificando che: «Io ho le stesse mansioni della mia collega, faccio le stesse identiche cose nello stesso posto di lavoro, e nonostante da contratto lavori anche più ore, guadagno molto meno (700 euro circa a fronte di oltre 1000) e senza alcun tipo di garanzia, nonostante nel tempo abbia avuto anche contratti a tempo indeterminato».

Chi lavora nelle cooperative non ha garanzie adeguate:

«Essendo legato ad un appalto che fa il comune e a dei soldi che arrivano da terzi, il lavoratore non ha nessuna garanzia. Innanzitutto i contratti per chi lavora nelle cooperative non prevedono 12 mensilità: il contratto viene interrotto a fine della scuola e viene puntualmente rinnovato 3 mesi dopo, alla fine delle vacanze e con la ripresa dell’anno scolastico».

E questo per chi ha la fortuna di avere un contratto, visto che con l’estensione dei voucher molte cooperative hanno utilizzato questo metodo di pagamento.

«Con il contratto a tempo indeterminato il paradosso è che la situazione può essere peggiore rispetto a chi ha un contratto a progetto, perché nel secondo caso almeno si può accedere alla disoccupazione, nel primo nemmeno quello».

Perché se un lavoratore ha un contratto a tempo indeterminato con una cooperativa che dovesse perdere l’appalto, può capitare che per mesi, ed in alcuni casi anche anni, i lavoratori non abbiano alcun lavoro da svolgere e non vengano quindi retribuiti. È legale che sia così? No: però l’opzione sarebbe quella di fare una causa, ma nessuno, mentre sta lavorando ed ha bisogno del lavoro, si azzarda a farlo.

Altra cosa che succede spesso è che il contratto venga modificato in base all’esigenze della cooperativa: quindi un anno un lavoratore può fare anche 30 ore settimanali e l’anno dopo vedersene proposte 5 o 10, in base agli appalti. Mente gli educatori comunali – circa una 50ina ed in costante diminuzione negli ultimi anni – oltre ad avere il minimo contrattuale stabilito per legge, hanno anche l’orario stabilito.

Altra differenza di trattamento ad esempio nei casi di assistenza scolastica: se il bambino che deve essere assistito dall’educatore della cooperativa non si presenta a scuola, il lavoratore non viene pagato. Se la stessa cosa succede al dipendente comunale, resta a scuola e si mette a disposizione venendo retribuito.n