«Ho cinque figli. Anzi no, sette…»

Magie del Garbosi - Antonello è uno dei papà che durante il torneo ha accolto gli atleti in arrivo da fuori Varese

– «Domani in casa nostra mancherà qualcosa». lo esclama con un sorriso tirato, l’unica reazione possibile a corredo di una bella esperienza che giunge al termine.
In un Palawhirpool colorato dalla festa di 600 adolescenti, uno dopo l’altro in sfilata su una storia fatta di assi di parquet, una storia grande come i loro sogni di piccoli uomini affacciati alla vita, questo gentile signore di Castiglione Olona rappresentata la testimonianza più bella e concreta della magia del Garbosi.


Il torneo giovanile più amato della primavera varesina da sempre è infatti sinonimo di amicizia e di ospitalità.
Di rapporti umani che nascono e non si sfaldano più, superando le barriere del tempo e della distanza. Di famiglie che si mettono in gioco per rendere possibile ciò che senza di loro non lo sarebbe, di padri e madri che per qualche giorno accolgono nella loro cerchia un pargolo in più, donandogli amore e protezione, come se fosse un figlio.

«Io, che di figli ne ho già cinque, da giovedì ho avuto anche il sesto e il settimo» torna a sorridere Antonello, raccontando quella che è ormai una piacevole consuetudine. Lui è l’accompagnatore della Teva Varese under 14 (che ieri, tra l’altro, ha dato filo da torcere alla quotata Venezia nella finale di categoria), è il papà di Lorenzo, che gioca proprio in quella squadra, e – per l’ennesimo anno di fila – ha risposto all’appello dell’organizzazione ospitando due giocatori delle compagini provenienti da fuori Varese: «Ho iniziato con la prima partecipazione di mio figlio Matteo, che oggi ha 19 anni. Da lì non ho più smesso, perché dal Garbosi sono passati anche i miei ragazzi più piccoli».In questo 2016 il suo Lorenzo si è portato in dote , giovane della Reyer Venezia, e , croato che ha preso parte al torneo con la formazione del Podstrana.
I due forestieri hanno vissuto nella casa di Antonello a Castiglione Olona per cinque giorni, accuditi – e il signor Maruca lo ripete più volte con gli occhi che gli brillano – «come se fossero miei figli».
«Siamo sempre stati una famiglia molto ospitale – dice – E in queste occasioni ci impegnano tutti per rendere piacevole il soggiorno dei giovani giocatori: io e mia moglie come “genitori”, i mie figli come “fratelli”. Ne vale la pena: quello che ti ritorna indietro è grande, ogni volta». Se per il veneziano Marco lo scambio con la famiglia Maruca è stato il rinnovo di una piacevole consuetudine, per il croato Stipe si è trattato di una prima volta.

Una bellissima prima volta, a consuntivo: «Abbiamo scoperto un ragazzo molto educato, gentile, disponibile. Durante i pasti si offriva addirittura di sparecchiare i piatti. La felicità nei suoi occhi è stata la miglior ricompensa. Al pranzo di Pasqua, poi, abbiamo invitato i suoi genitori, giunti anche loro a Varese: la madre, quando ci ha salutato alla fine, aveva le lacrime agli occhi…».Anche Antonello un po’ si commuove quando lo racconta. E non potrebbe forse essere altrimenti per un uomo che si presenta così: «Quella di vivere il Garbosi è una grande fortuna che mi hanno regalato i miei figli». Un altro aneddoto rivela ancora di più: «L’altro giorno Stipe si è fatto male durante una partita. Suo padre mi ha detto: “Allora lo portiamo con noi in albergo questa sera”. Gli ho risposto di no: “Voi non preoccupatevi, me ne prendo cura ancora io”».Oggi tutto è finito. Le gare e l’atmosfera di festa che ieri ha contagiato quasi 3000 persone a Masnago. Sono finite le emozioni che solo questa rassegna di basket giovanile è in grado di regalare e si è conclusa la parentesi di condivisione di vita tra piccoli e grandi esseri umani che amano la pallacanestro. Arrivederci all’anno prossimo, quando niente sarà cambiato: «I rapporti rimangono per sempre – conclude Antonello Maruca – Durante l’anno si rimane in contatto, poi quando ci si rivede ci si abbraccia come si fa con un amico. Un amico vero».