L’uomo che ha reso Varese fiore all’occhiello dell’Unesco

L’archeologo Bertolone ha effettuato ricerche su Castelseprio e Isolino Virginia. Contribuendo in maniera determinante al loro riconoscimento come beni dell’Umanità degni di tutela

Personaggi che hanno lasciato un’impronta indelebile nella città. Anche se spesso i loro nomi non vengono ricordati come è necessario, nonostante la targa che li reca incisi.
Il tempo tende a cancellare la memoria. Ed è qui che emerge l’importanza del lavoro de “La Varese Nascosta”, nello specifico della ricerca “Le strade della memoria”, portata avanti dal giornalista Fausto Bonoldi. Scrivere per ricordare, per impedire che il tempo cancelli le tracce del passato.

Nel settembre dello scorso anno, Varese ha ricordato con un convegno i 105 anni della nascita di Mario Bertolone, l’archeologo e storico a cui è intitolata la via che partendo da viale XXV Aprile, di fronte al Masso Sacro, costeggia due lati del complesso scolastico che ospita l’Istituto “Daverio-Casula” e l’Istituto professionale “Luigi Einaudi”. Nato a Busto Arsizio il 7 marzo 1911, Bertolone è stato un raro esempio di appassionato studioso del passato con lo sguardo rivolto al futuro: nella sua attività,

o meglio, missione di archeologo è sempre stato guidato da una visione interdisciplinare e internazionale della ricerca, basata sulla collaborazione con qualificate istituzioni scientifiche italiane e straniere, e da un’attenzione particolare all’innovazione tecnologica. La sua lungimiranza, che ne ha fatto un pioniere dell’archeologia contemporanea, è dimostrata, per esempio, dall’impiego dei rilievi fotografici aerei applicati alla ricerca sulle vestigia del passato e proprio a Varese, nel 1954, il professor Bertolone organizzò la prima mostra italiana di fotografie aeree di siti archeologici. Tralasciando i numerosi e prestigiosi incarichi da lui svolti prima di assumere, nel 1937, la direzione dei Musei Civici di Varese, che rinnovò radicalmente, vanno ricordate le indagini compiute nei siti di Castelseprio e dell’Isolino Virginia, divenuti anche grazie a lui patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Nell’area del castrum fatto distruggere nel XIII secolo dall’arcivescovo di Milano Ottone Visconti, tra il 1946 e il 1958, in collaborazione con il direttore della Soprintendenza ai beni archeologici della Lombardia Mario Mirabella Roberti, il professor Bertolone svolse indagini, accompagnate da lavori di disboscamento e di rimozione delle macerie, che riportarono alla luce i resti dei monumenti, gli edifici sacri, graziati dal Visconti, e svelarono la “pianta” e l’estensione del castrum longobardo, creando i presupposti dell’attuale parco archeologico. All’Isolino Virginia, l’archeologo condusse campagne di scavo fondamentali per la conoscenza del più antico sito palafitticolo preistorico dell’arco alpino. Varese e il suo territorio gli devono però tante altre iniziative di valorizzazione della storia locale. Nel 1950, il professor Bertolone pubblicò la prima carta archeologica della provincia di Varese; con Leopoldo Giampaolo, riportò in vita la Rivista della Società storica varesina; nel 1953 diede vita al Centro di studi preistorici e archeologici di Varese e l’anno seguente avviò la pubblicazione della rivista «Sibrium»; collaborando con musei e università straniere, fece conoscere il patrimonio storico della nostra terra. Grazie ai suoi studi e alle sue pubblicazioni, nel 1958 conseguì la libera docenza e tenne lezioni all’Università statale di Milano, all’Università cattolica del Sacro Cuore e alla Sapienza di Roma. Il convegno dello scorso anno è stato un importante omaggio all’opera di Mario Bertolone, morto a Varese il 6 gennaio 1965, il cui apporto alla valorizzazione della nostra storia era stato troppo a lungo dimenticato.

Un largo alberato, adiacente a via Piermarini, nella zona dell’ippodromo, ricorda don Enrico Alberio, parroco di Biumo Superiore dal 1950 al 1978, quando il sacerdote morì in un incidente stradale durante una gita-pellegrinaggio. Nato e battezzato il 7 dicembre del 1903 a Rovello Porro in provincia di Como, fu ordinato sacerdote nel giugno del 1927 nel Duomo di Milano. Dopo le prime esperienze pastorali come coadiutore a Castiglione Olona e ad Azzate, don Alberio divenne parroco di Brunello, dove rimase fino al 1942, quando fu destinato a Velate prima di approdare, otto anni dopo, nella parrocchia di San Giorgio a Biumo Superiore. Sacerdote dinamico e schietto, era considerato un prete “politico” per la su attenzione non solo alla cura spirituale ma anche ai bisogni materiali dei suoi fedeli. Restio a nascondere le proprie idee, molto critiche nei confronti del fascismo, era inviso alle autorità del tempo. Considerando parte integrante della missione pastorale la cura delle “case di Dio”, nelle tre parrocchie che fu chiamato a guidare s’impegnò nella promozione di importanti interventi di restauro. A lui, nella sua veste di parroco di Brunello, dobbiamo la scoperta del tesoro artistico contenuto nella millenaria chiesa di Santa Maria Annunciata. Grazie a don Alberio furono riportati alla luce nel 1935, dopo che erano stati coperti con uno strato di calce in occasione della peste che colpì Brunello nel 1576, preziosi affreschi quattrocenteschi come il Giudizio Universale, con i campi separati dei beati e dei dannati; la Santa Vergine con Gesù Bambino e Santa Caterina d’Alessandria, oltre a un polittico del Cinquecento e una deposizione del Seicento. A Velate don Enrico prese l’iniziativa di ampliare la chiesa di San Cassiano con due vani accanto all’altare, far erigere il muretto di contenimento e restaurare gli affreschi cinquecenteschi del coro della parrocchiale di Santo Stefano. Nel primo periodo della sua missione a Biumo Superiore, il parroco decise un intervento che risultò decisivo per salvare la chiesa di Sant’Anna e il suo apparato pittorico dal degrado provocato dall’umidità. Sotto la guida di don Alberio furono consolidate le opere murarie, furono ravvivati gli intonaci e restaurati gli affreschi. “Il fastoso barocco del presbiterio è ritornato vivo, mentre la sobria tinteggiaura e l’armonia dei riquadri e degli stucchi nella navata danno vieppiù rilievo agli affreschi ed alle tele, che fanno pregevole il piccolo tempio”, annnotava il parroco nel 1953.