Politici, voi tradite i giovani e Pertini

L’editoriale del nostro direttore Andrea Confalonieri

O parlano bene di sé, o parlano male degli altri. Mai “con” gli altri. Mai “per” gli altri. Non hanno niente da imparare da nessuno, sono loro a spiegarti sempre tutto. Non ascoltano. Hanno sempre la verità in bocca, una e incontrovertibile. Quando ti spiegano il mondo e la vita sembra di sentire un disco rotto. Sempre le stesse cose, sempre di più. Mai qualcosa di originale, unico o nuovo. Ma neppure di antico e vero.

Imparano soltanto dalla cerchia politica in cui sono rinchiusi, mai da quella avversaria: e se quest’ultima osa proferire parola, è sbagliata a prescindere, al di là che sia giusta o sbagliata davvero. Proiettano le loro battaglie, la loro bramosia, il loro mondo sulla testa e nel mondo degli altri. Agiscono nel nome della libertà: la loro, non quella di tutti, quindi di chi non la pensa come loro. Sono seduti, stanchi, chiusi, lontani, uguali. Non toccano il cuore né le coscienze perché banali, grigi, vuoti, ripetitivi. La partita per loro non finisce mai al 90’ perché devono provare a portare a casa il risultato a ogni costo, anche il giorno dopo a tavolino (mai sul campo, dove anche gli sconfitti alla fine escono vincitori), e se segnano di culo tanto meglio: godono di più. Se hanno subito un gol regolare, trovano sempre il modo di annullarlo. A patto di non trovare un avversario che vende la partita. Non sanno entusiasmare, ti deprimono anche quando passano in vantaggio, e di fuoriclasse (o di giovani) tra di loro non ce ne sono più da tempo, annullati dalla mediocrità o dalla novità a ogni costo. Se poi qualcuno reclama diritti, pensano al loro tornaconto elettorale – al loro passato, alla loro posizione, al loro bacino d’utenza – prima di dire”sì” o “no” a quella richiesta, al di là dei diritti in questione.

Ma la loro fine, la colpa che nessuno potrà mai cancellare, la trave negli occhi di questa politica è un’altra. E cioè non sapere fare l’unica cosa che conta davvero: ascoltare i ragazzi, parlare ai giovani. E imparare da loro. Loro che sono non solo il futuro – quando dicono questa frase è solo per rinviare il momento in cui dovranno ascoltarli – ma il presente. Loro che sono molto più avanti e moderni, più aperti e civili, più onesti e trasparenti non solo dei politici ma, in definitiva, dei grandi. Prendiamo le unioni civili e le adozioni gay. Ci fosse stato uno, uno solo, che si sia domandato: ma cosa pensano i nostri figli di tutto ciò? Ce ne fosse stato un altro che al posto di insultare, promettere, tradire, indietreggiare, negare, osteggiare, combattere per qualcosa che riguarda (riguarderà) soprattutto loro, i vostri e i nostri ragazzi, li abbia semplicemente ascoltati. Sarebbe bastato riempire il parlamento con gli studenti di dieci, cento, mille scuole di ogni regione e grado, acquietarsi, tacere e mettersi seduti in santa pace a guardarli in faccia mentre prendono la parola. E poi farsi una ragione di ciò che pensano, di ciò che sognano, di ciò che vogliono, mettendolo in pratica. Dovrebbero (dovremmo-dovremo) inchinarci ai quindicenni, ai diciottenni, ai ventenni, ai venticinquenni. Il mondo è loro. La vita su cui decidiamo è la loro. Che, tra l’altro, sono molto più progrediti e affamati di noi. Non sappiamo parlare, non vogliamo ascoltare. Non abbiamo la forza, l’apertura, l’umiltà, l’onestà, la capacità di metterci in discussione per farci questa domanda, perché sappiamo già la risposta: nostra figlia o nostro figlio quindicenne (o diciottenne, o ventenne, o venticinquenne), si stupirebbe, si indignerebbe o si vergognerebbe come facciamo noi (come fate voi) vedendo due donne o due uomini passeggiare mano nella mano insieme a loro figlio, o figlia? Chiedeteglielo, è il minimo. E chiediamoci (chiedetevi) come mai il più vecchio degli uomini politici fosse anche il più giovane, il più moderno, il più amato. Chiediamoci (chiedetevi) perché Sandro Pertini fu l’ultimo a parlare davvero ai giovani.

Quanta umanità, quanta baldanza,quanta giovinezza, quanta leggerezza, quanta verità, quanta semplicità mai più raggiunta in quell’appello ai giovani mai più ripetuto (perché mai più i giovani sono stati rispettati) da alcun politico italiano dal 1981 a oggi. «Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile che si risolve per molti nella libertà di morire di fame. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, per il vostro domani. Lottate con la passione con cui ho lottato io e lotto ancora oggi, nonostante gli anni, per le vostre idee e per questi principi. Ma io vorrei che teneste presente un ammonimento di un pensatore francese, ammonimento che ho sempre tenuto presente alla mia mente e al mio animo. Dico al mio avversario: io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita perché tu la tua idea la possa esprimere sempre liberamente. Ecco quello che io dico ai giovani, senza presunzione, quasi fossi un loro compagno di strada, tanto mi sta a cuore la loro sorte. E io li esorto ad andare avanti e a continuare per la loro strada. Finché vita sarà in me, io starò al vostro fianco nelle vostre lotte, giovani che mi ascoltate. Lotterò sempre al vostro fianco per la pace nel mondo, per la libertà, per la giustizia sociale». Siamo fermi a Sandro Pertini. Nel 2016 dobbiamo tornare al 1981 per emozionarci un po’. E credere nel futuro.