Quando lo sport aiuta i ragazzi affetti dalle psicosi

Ieri sera al Miv un incontro con Sabrina Sozzani, psicoterapeuta impegnato su questo fronte

Ieri sera al Miv di Varese, in occasione dell’uscita nelle sale del documentario “Crazy for Football”, si è tenuto un incontro con Sabrina Sozzani, psicoterapeuta e vicecampionessa mondiale di Danza con le Spade, da parecchi anni impegnata sul fronte dello sport associato alla disabilità psichica. La pellicola diretta da Volfango De Biasi racconta infatti le vicende della prima nazionale di calcio italiana interamente composta da persone affette da psicosi. Un tema, quello della pratica sportiva come terapia riabilitativa per questi pazienti, sul quale Sabrina Sozzani ci ha aiutato a fare luce.

Il calcio, inteso come uno sport che riabilita, è a tutti gli effetti una forma educativa, un collante in grado di rimettere insieme mente e corpo, di riunire quelle emozioni che in una persona affetta da psicosi sono per lo più disarmoniche. Quando si parla di disabilità psichica si intende una rottura con la realtà che il movimento e il senso di libertà offerti dal gioco contribuiscono a curare e lenire, anche solo per un momento.

Si è ritenuto per anni che tener segregato il paziente psichico fosse l’unico modo per mantenerlo al sicuro, per poterlo gestire, ma non è affatto così. La malattia psichica è già di per sé isolante, a noi spetta il compito di riportare queste persone nel mondo. Il gioco consente alla persona di muoversi e di trovare equilibrio. Farlo in gruppo, in una squadra, consente alla persona di ristabilire anche un senso di sé. “L’altro è come me”, è uno specchio attraverso cui è possibile vedere i propri limiti, confrontarsi, dando luogo a una vera scoperta interiore. Il paziente psichico è fragile; noi tendiamo a normalizzarlo diventando così poco comprensivi e troppo richiedenti. Quando invece incontra di fronte a sé la sua stessa fragilità, scatta un meccanismo di riconoscimento che gli permette di non sentirsi sotto pressione o giudicato.

Nient’affatto. Il movimento è benessere, è ciò che li lega al mondo. Se pensiamo al calcio, correre su un prato è una delle più alte espressioni della libertà. Ciò vale a maggior ragione per un paziente psichico, che vive segregato dentro la malattia. In campo si ha l’occasione di vedere il proprio corpo immerso in uno spazio, circondato da corpi simili, libero… Le arti marziali, poi, contribuiscono in special modo a contenere l’aggressività, perché consentono di scaricarla nell’immediato, con un calcio o con un pugno, favorendo i riflessi e la capacità di dosare la propria forza. Lo sport favorisce qualcosa di fondamentale: il riappropriarsi e la ricarica del sé.


Si comincia a motivare la classe tramite la voce e il confronto con gli altri, si fa stretching seguito da percorsi a circuito sempre più complessi. La lezione vera e propria inizia con delle ripetizioni di pugni, calci e parate, in un crescendo di tecniche. Infine ci si fronteggia in un piccolo incontro a due, dove si impara il rispetto e a non avere paura. Certo, la competizione non manca, ma l’errore è concesso. Si è felici e sorridenti anche quando si perde perché comunque ciò che conta è stare insieme.

Più da parte dei genitori e degli accompagnatori, devo dire, perché riconoscono che a casa o in istituto i ragazzi ripetono i gesti ordinati che compiono nel dojo. In ogni caso però so per certo che i pazienti si sentono gratificati e felici perché hanno modo di riconoscere sé stessi per quello che sono, non per quello che vogliono gli altri. Lo sport è importantissimo perché può restituire a queste persone un momento di libertà e dignità.