Super frode fiscale del Gruppo Casti

Operazione “Golden Lake”. La Guardia di Finanza calcola in 1,2 miliardi di euro il danno all’Erario

«Golden Lake» è il nome del software di Dongo che, contenendo copia di migliaia di fatture emesse, è stato la chiave di volta per consentire agli agenti della polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Varese e ai militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, di delineare i contorni di una maxi frode fiscale pari a ben 1,2 miliardi di euro di imposte evase che sarebbe stata perpetrata ai danni dello Stato da parte delle 23 società del Gruppo Casti.

L’indagine è iniziata con l’arresto, nel giugno 2014, da parte della Guardia di Finanza, di quattro persone, tra cui il noto imprenditore Gianfranco Castiglioni, con il conseguente sequestro di beni per un valore di 30 milioni di euro, tra immobili, auto di lusso, natanti, quote sociali e conti correnti.

Il fascicolo penale è stato poi trasmesso alla Procura della Repubblica di Varese, che ha delegato ai finanzieri ulteriori indagini volte a verificare l’esistenza di illeciti perpetrati da ulteriori società del Gruppo Casti, aventi sede in provincia di Varese e operanti nei settori della minuteria metallica, costruzioni, fonderie, trasporti e alberghiero.

Ma la rete si è rivelata, fin da subito, più estesa e pervasiva di quanto si potesse pensare, con il coinvolgimento di società di Milano, Como, Padova, Perugia, Piacenza, Cuneo e di ulteriori soggetti.

«Le indagini preliminari si sono concluse con 12 indagati, tra cui ci sono anche i due figli di Gianfranco Castiglioni, la segreteria e la dirigente amministrativa» spiega il colonnello Danilo Anastasi durante la conferenza stampa, che si è svolta ieri nella sede della Guardia di Finanza di piazzale Foresio.

A quanto emerso dalle indagini, la principale frode consisteva nel porre in essere false operazioni infragruppo tra le società del Gruppo Casti in modo da permettere, ad alcune di esse, di ottenere milionari crediti Iva da chiedere a rimborso o da utilizzare in compensazione per il pagamento di oneri previdenziali e altri tributi.

Ciò sarebbe avvenuto tramite l’emissione di fatture per operazioni inesistenti che venivano registrate solo dalla società ricevente, che così generava costi per abbattere il reddito e maturava crediti sull’Iva mai versata dall’emittente.

L’attività investigativa è stata costellata da numerosi colpi di scena. Per esempio, i libri contabili richiesti dalla Gdf furono smaltiti come rifiuti speciali: stando a quanto dichiarato, si sarebbero trovati sotto un capannone di eternit crollato.

Un altro particolare cinematografico è la ricostruzione della contabilità che ha portato ai provvedimenti restrittivi del 2014, che sarebbe stata artefatta da alcuni soggetti, lavorando notte e giorno, per tre mesi, soggiornando in hotel e pasteggiando a gamberoni.

Non sono mancate intercettazioni e perquisizioni, come quella effettuata nell’abitazione della segretaria del Castiglioni, in cui sono stati rinvenuti numerosissimi report con i conteggi delle fatturazioni infragruppo emesse nel corso di svariati anni. Ma alla fine è stato un «cervello elettronico» a fornire gli elementi decisivi per confermare le ipotesi accusatorie: all’interno della memoria del software vi era copia informatica delle oltre 10 mila fatture false che sarebbero state emesse dalle società del Gruppo.

Le violazioni a carico degli indagati sono: emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti per un importo complessivo di circa 2,4 miliardi di euro; richieste di indebiti rimborsi iva per circa 300 milioni di euro; effettuazione di indebite compensazioni di tributi ed onori previdenziali per circa 60 milioni di euro.