«Uccise la moglie per incassare la polizza». Le motivazioni della condanna di Argenziano

L’uomo è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio della giovane Stefania Amalfi dalla Corte

Quello di Alessandro Argenziano fu «un piano diabolico e premeditato» per «uccidere la moglie Stefania Amalfi». Argenziano, 41 anni, fu condannato al fine pena mai in primo grado lo scorso 7 aprile dalla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato. L’altro ieri sono state depositate le motivazioni della decisione della Corte. In 90 pagine il giudice estensore riassume la vicenda e conferma il movente economico: «Argenziano uccise la moglie per poter incassare la polizza sulla vita di questa che lo vedeva quale unico beneficiario».

Per il giudice il quarantunenne, che soffocò la moglie nell’abitazione della coppia in via Conca d’Oro a Varese dopo averla stordita con un potente farmaco simulandone il suicidio, si sarebbe tradito immediatamente «chiedendo agli operanti (gli agenti della polizia di Stato intervenuti) quando avrebbe potuto incassare i soldi». Il cadavere della ventisettenne era ancora lì, accanto a lui. La donna era stata spogliata e lavata (il corpo era bagnato) indicazioni che «gli operatori del 118 che Argenziano aveva chiamato non diedero mai all’imputato».

Le motivazioni affrontano anche il punto sulla causa della morte di Amalfi. In sede di discussione Stefano Amirante, legale di Argenziano, aveva sottolineato a fronte delle diverse versioni fornite dai periti, che «non soltanto non sono state chiarite le cause della morte di Amalfi, ma non è nemmeno stato stabilito se si sia trattato di un omicidio». Il giudice estensore sul punto cita il filosofo austriaco Karl Popper: «Osserva la Corte come l’ipotesi dell’apposizione di un ostacolo meccanico alla funzione respiratoria di Stefania Amalfi, ancorché indimostrata sotto il profilo delle evidenze probatorie, vada tuttavia valorizzata sotto il profilo della prova logica. Essa resiste ad ogni tentativo di falsificazione praticato secondo l’insegnamento di Karl Popper».

Nelle motivazioni viene messo in rilievo il carattere manipolatorio di Argenziano, del quale la moglie era succube tanto da essere privata di un cellulare proprio per evitare di avere contatti incontrollati con i familiari, residenti a Vercelli, che furono i primi ad accusare Argenziano di aver ucciso la moglie per la sua quasi patologica brama di denaro. A fronte delle motivazioni depositate Amirante annuncia «il prossimo ricorso in Appello. Dopo la lettura del dispositivo dissi che le sentenze non si commentano, si impugnano. Dopo aver letto le motivazioni, a maggior ragione, siamo convinti nel voler impugnare la sentenza in secondo grado. Motivazioni che sembrerebbero orientarsi più in un ambito filosofico che giuridico». Amirante ha anche spiegato «che valuterà l’opportunità di chiedere alla Corte d’Appello di poter fissare l’udienza in tempi brevi visto che Argenziano si trova ancora sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere». Il ricorso potrebbe essere presentato già entro la fine di luglio.