Un amore chiamato 500. Basta girare le chiavi per raccontare una storia

La testimonianza - Il “Cinquino”: molto più di una macchina

Accendere quadro e motore, abbassare la capottina, ingranare la prima e partire. Quando poggi il sedere su una Fiat 500 cabrio (ovvio, eh: se la macchina non è cabrio, non è degna di essere guidata) la ritualità è sempre quella. I gesti, li compi a memoria. Sono quasi meccanici. E, quando te ne rendi conto resti scioccato, confuso, ma lo stesso felice.
Comunque: chi vi scrive è un fiero proprietario di un Cinquino che, chiaramente, avrebbe voluto quello originale ma che alla fine si è

preso la versione moderna. Sì, gli amanti della “vera” Cinquecento storceranno il naso, ma è così: usare una macchina, sputata fuori dalla fabbrica durante i ’60, come auto di tutti i giorni è impossibile, è da fuori di testa per mille e uno motivi.
Già, quegli stessi motivi per cui la 500 di oggi non è la 500 di ieri; per cui quella di oggi non sarà mai quella di ieri. Piaccia o meno è così: a partire dall’idea che c’è dietro alle due auto: la 500 che fu è nata per essere una macchina accessibile a tutti, anzi, per essere la macchina di tutti, quella di oggi, invece, non lo è; è piuttosto l’accessorio della borsetta di una vamp – non so se ci siamo intesi.
Distinzioni a parte, se c’è una cosa che accomuna le due auto (forse l’unica vera cosa oltre alla vaga somiglianza estetica) è il divertimento che quell’auto ti sa dare. Anche se non va veloce, anche se non è proprio briosa sotto il cofano – versione Abarth a parte. E oggi, dopo una decina di mesi di guida, non mi sono ancora stufato di lei, ma anzi: non vedo l’ora di salirci su – anche se va come un triciclo e consuma come una Ferrari. Diciamo che è come una donna che oltre ad essere bella è pure intelligente: ti seduce all’inizio e ti conquista con il tempo. Fino a portarti alla follia.
Sì, è così: il Cinquino è, e sarà sempre, un’automobile divertente: perché quando accendi il motore, spegni i pensieri. Perché quella piccola scatoletta di tonno Rio Mare con quattro ruote, ti riesce a trasmettere qualcosa che le altre macchine non hanno. Qualcosa di indistinto e indescrivibile, ma che c’è ed è tangibile da come ci si sente dopo aver fatto un giro lì sopra.
Insomma: se c’è un’auto che ha da sempre racchiuso il meglio dell’italianità è proprio quello stupendo mostriciattolo. Semplice e perfetta. Piccola fuori e con un cuore grande dentro. Un mito inarrivabile, che ha portato la Fiat, e il nostro tricolore (assieme alla Vespa, per la Piaggio) ad essere una vera e propria icona del nostro Paese. Perché sarà pure una macchina, ma mai una macchina si è impersonificata così tanto con la storia di un popolo, e con i suoi perchè. Viva la Cinquecento, Viva la Fiat.